L’avvocato socialista Luigi Massa.
La prima stazione ferroviaria tifernate.
Facciata della stazione su piazza Garibaldi.

Il memoriale della Lega

La Lega inviò il memoriale alla direzione della F.A.C. il 26 settembre, affinché la trasmettesse alla società belga esercente la linea ferroviaria, e chiese una risposta entro il termine di 8 giorni.

Siccome la proprietà tardava a rispondere, il 7 ottobre la Lega chiese sostegno al sindaco di Città di Castello Filippo Gavasei: “Come avvenne nell’Alta Italia, dove amministrazioni comunali dichiaronsi favorevoli alle domande del personale ferroviario reclamante un migliore trattamento, così confidiamo che l’amministrazione da lei degnamente rappresentata vorrà dire una parola a nostro favore”.

Dopo la cortese ma generica risposta del sindaco, il quale auspicò che ogni cittadino avesse “equo compenso pel suo lavoro, e dall’opera sua”, Augusto Consani sollecitò un pronunciamento dell’intero consiglio comunale, invitando inoltre ad avviare un’“opera di conciliazione” presso la direzione dell’esercizio. Preoccupava il fatto che la società esercente, la quale aveva appena risolto vertenze sindacali simili a Milano e a Biella, tardasse tanto a inviare le sue proposte alla commissione dei lavoratori incaricata di trattare. Consani affermò di augurarsi che non si volesse “pensatamente dai capitalisti e dai loro funzionari provocare quello sciopero che non [era] negli intendimenti dei ferrovieri”.

Nel frattempo a coadiuvare la commissione locale, che aveva nell’avv. Luigi Massa e in Consani le guide più autorevoli, giunsero il noto deputato socialista Angiolo Cabrini, inviato dalla Camera del Lavoro di Milano, e Sebastiano Del Buono, segretario della Camera di Lavoro di Firenze.

Come segno tangibile della buona volontà dei ferrovieri, fu decisa una proroga di 6 giorni sull’ultimatum. Ma l’atteggiamento della controparte non faceva ben sperare. “Unione popolare” avrebbe poi dato un giudizio assai severo sul ruolo avuto dal direttore della F.A.C., Ettore Locatelli:

“L’atteggiamento del direttore durante questo periodo di agitazione era quello di un uomo, che conscio del male che fa, tende nel medesimo tempo a soggiogare o a reprimere un primo palpito di tanti onesti lavoratori che si ribellavano vedendosi ingordamente sfruttati da esteri vampiri”.

E con tali parole un socialista, quasi mezzo secolo dopo, rievocò quegli eventi: “La Società Belga, che deteneva il pacchetto azioni dell’‘Appennino’, considerava come perduto il capitale investito nell’Arezzo-Fossato: l’ing. Locatelli, dalla fluente barba bionda, non vedeva che le economie all’osso per mantenere in piedi la ferrovia, la quale faceva poche corse con i vagoni traballanti e sconquassati”.

L’11 ottobre, finalmente, la risposta della società belga. Deludente, però. La sera stessa i ferrovieri si adunarono in un’affollata assemblea a Città di Castello per decidere sul da farsi. È “Unione popolare” a darci la cronaca di quell’epico incontro: gli aderenti alla Lega sono “pensierosi e seri, parlano a crocchi, attendono la parola dell’on. Cabrini e frenano a stento la loro bramosia di dimostrare alla direzione la risoluta intenzione di finirla una buona volta colle lungaggini e con le vane promesse”. La risposta della direzione della F.A.C. è giudicata del tutto inaccettabile, sia perché le proposte sull’organico si prestano “a troppe e troppo facili esclusioni”, sia per gli aumenti di salario “irrisori” e limitati a parte del personale (si prevedeva un aumento di L. 5 al personale di manutenzione). Lungi dall’alimentare l’esasperazione dei lavoratori, Cabrini con pacatezza invita a “seriamente ponderare”, “mette in rilievo i pericoli dello sciopero”, che talvolta può rivelarsi “un’arma a doppio taglio”; ammette che addirittura “potrebbe tornare svantaggioso”, perché i ferrovieri altotiberini sono da poco in Lega, senza adeguate risorse finanziarie. Ma l’assemblea è percorsa da un’irrefrenabile spinta a continuare l’agitazione. “Unione popolare” rievoca: “A questo punto le ire mal represse nei petti degli astanti si manifestano interrompendo a spessi intervalli le sagge parole dell’on. Cabrini e fanno capire quale sia la ferma intenzione di essi. A stento si mantiene un po’ di ordine nell’ambiente saturo di rivolta […]”. E quando si chiede all’assemblea “Chi vuole lo sciopero alzi la mano!”, i ferrovieri mostrano un’assoluta compattezza: “Ben 180 mani, fra le quali le nere dei fabbri, le abbronzate dei macchinisti e le bianche degli impiegati si agitano […]”.