La lavorazione artistica del ferro, già praticata su ampia scala nel XIII secolo in Francia, Spagna, Inghilterra e Germania, si diffuse in Italia nel Trecento. Le tendenze architettoniche dei vari periodi ne influenzarono lo sviluppo: nelle botteghe dei fabbri presero forma cancellate, grate, porte, lanterne, roste, balaustre e molti altri elementi ornamentali di palazzi e chiese. Si facevano in ferro battuto, oltre a qualche strumento per i bisogni più modesti della vita quotidiana, anche molti degli oggetti decorativi nei luoghi pubblici e di culto.
Nel Quattrocento, alla tradizione gotica subentrò man mano il nuovo stile rinascimentale; il ferro venne modellato e, spesso, cesellato, con figure e ornati. Già nel Cinquecento il desiderio di dar prova di virtuosismo prevalse sulla sobrietà delle forme.
Risalgono a quei secoli i manufatti che rimasero un imprescindibile modello per i fabbri tifernati delle epoche successive. Il cancello della Cappella Vitelli in San Francesco, capolavoro dell’artiere tifernate Pietro Ercolani, è del 1567. Non si conosce invece l’autore del tripode per grandi bracieri della famiglia Bufalini; sembra comunque di fattura anteriore al XV secolo. Queste opere sono considerate elevate manifestazioni di gusto artistico e di virtuosismo artigianale.
D’epoca più antica e di fattura più rozza, ma significative come “espressione spontanea e genuina della tendenza istintiva di fabbri a modellare il ferro rovente con fini decorativi”, sono le diverse campanelle poste sulla facciata del palazzo comunale. Giulio Pierangeli le definì una forma di “arte primitiva”, animata da una volontà di rappresentazione simbolica ed essenziale: “Il fabbro che le forgiò […], mentre batteva sull’incudine il ferro arroventato, gli dava la forma vagheggiata, con arnesi modesti e con rapido lavoro, mirando solo ad ottenere che il passante senz’altro capisse che cosa aveva voluto simboleggiare l’artiere: pochi segni impressi o tracciati a caldo completano la decorazione.”
Ad artigiani più raffinati sono dovuti altri manufatti sopravvissuti all’usura dei secoli e ai frequenti rischi di dispersione: la campanella cinquecentesca e la rosta del palazzo Vitelli all’Abbondanza, i battiporta dei palazzi Tommasini Mattiucci e Gnoni lungo il corso principale. E proprio su corso Vittorio Emanuele II danno i balconi dei palazzi Facchinetti, Lignani Marchesani e Tommasini Mattiucci, che, con la cancellata sul giardino della palazzina Vitelli, rappresentano i più bei lavori in ferro battuto del XVIII secolo. I fabbri seppero infatti adattarsi in modo mirabile anche alle fantasie barocche del Seicento e Settecento.
La decadenza del ferro battuto iniziò con l’avvento dello stile neoclassico e la diffusione della ghisa. Nell’Ottocento l’arte del fabbro sopravvisse quasi esclusivamente nei centri di provincia.