Libro sulla storia della Resistenza sull’Appennino toscano.
Pressioni contro sbandati e partigiani.

Il fallimento dell’ultimatum di Mussolini

La sanatoria proposta dal regime con il bando del 18 aprile conseguì risultati ben inferiori alle attese. Soprattutto nei territori dove l’attività partigiana si era fatta più intensa e organizzata, sostenuta ormai dai rifornimenti degli Alleati, la prospettiva di restare alla macchia non parve affatto una scelta disperata, per quanto sempre rischiosa. I rastrellamenti avevano sparso il terrore nelle campagne, inducendo i contadini a una maggiore cautela nel sostegno ai partigiani; ma tanta brutalità aveva pure finito per aumentare la rabbia popolare contro i nazi-fascisti. Inoltre lo sfondamento del fronte a Cassino faceva sperare in una rapida avanzata degli Alleati. Significativo quanto avvenne a Pietralunga. Il 19 maggio i parroci della zona si riunirono per concordare una linea d’azione. L’esito dell’incontro è riferito da don Pompilio Mandrelli: “Unanimemente decidono […] di non potere consigliare o favorire in alcun modo la partenza dei giovani per la leva del lavoro o per il servizio militare. Coloro che partono devono considerarsi perduti per la patria e molto probabilmente anche per la Chiesa”. E il 25 maggio, giorno della scadenza: “La data fissata come estremo limite utile per la presentazione dei giovani alla leva del lavoro e per l’esercito passa senza risultato. Nessuno si presenta. Molti ad evitare l’immediata rappresaglia minacciata alle famiglie si presentano agli uffici comunali, ritirano il foglio di via, si recano alla stazione ferroviaria e poi invece di prendere il treno per Perugia riprendono la via della macchia”.

Del turbamento che la decisione da prendere provocava nei giovani soggetti a leva si trova una significativa traccia nel diario scritto da uno di essi, Lorenzo Chieli, di Gioiello (Monte Santa Maria Tiberina). Quando venne a sapere che i fascisti stavano passando di casa in casa per prelevare i renitenti, si tenne nascosto. Il 24 maggio annotò: “I fascisti sono andati via portando seco cinque persone. Sono triste. Tutti si presentano ed io sono contrario. Domani è il termine della presentazione”. E l’indomani: “Sono malinconico; tutti si presentano ed io non ne ho voglia”. Infine, il 26 maggio: “La situazione è bruttissima ed io non so proprio come fare. Signore aiutaci, che periamo!”. Chieli non si presentò e cominciò a dormire fuori casa per sfuggire ad eventuali ricerche.

Dopo la scadenza dell’ultimatum i podestà e commissari dei vari Comuni inviarono in prefettura i dati riferiti al loro territorio. Si legge nella comunicazione di quello di Montone: “Non mi risulta sia presentato alcun ex ribelle o sbandato entro il 25 maggio u.s.”. Da Umbertide furono solo due gli sbandati inviati al distretto militare di Perugia.

A inquietare il regime non era solo l’entità della renitenza. Il Capo della Provincia di Perugia dovette ammettere che continuavano a disertare molti militari e constatare con un certo sconforto che a spingerli verso tale scelta erano sia le famiglie (“financo i genitori incitano i figli ad allontanarsi”), sia la “propaganda dei ribelli”. Né certo giovarono al morale dei reparti della Repubblica Sociale Italiana le brutte notizie provenienti dal sud sull’andamento delle operazioni militari.

 

I falò sull’Appennino toscano

La scadenza dell’ultimatum imposto dal regime a renitenti e disertori indusse il movimento partigiano dell’Appennino aretino a lanciare una vera e propria sfida ai fascisti. Il Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, che dal 12 aprile aveva ereditate le funzioni del CPCA, decise infatti di rispondere con una manifestazione di forza: l’accensione notturna di falò su tutte le montagne della provincia, per dimostrare che i partigiani non si arrendevano, erano tanti e dominavano le montagne. Ci fu il tentativo di coinvolgere anche i territori limitrofi e a tal fine Antonio Curina cercò Venanzio Gabriotti. Ma quando giunse a Città di Castello, venne a sapere che era stato appena fucilato.

Anche se finì con il limitarsi all’Appennino toscano, il gesto di sfida dei partigiani fu un evento straordinario, di vasto impatto. Nelle sue memorie, Domenico Galli racconta che, sull’Alpe di Catenaia, i suoi uomini prepararono i falò sul crinale occidentale, da Monte Filetto al Sasso della Regina, mentre le bande di “Tifone” e di Arioldi li apprestarono sul crinale orientale, tra Caprese Michelangelo, Savorgnano e Ponte alla Piera. Poi la loro accensione simultanea: “Alle 21.30 del 25 maggio su tutti i crinali della montagna, in uno spettacolo indimenticabile, i fuochi lanciavano la nostra sfida, magari sfacciata rispetto alle forze che potevamo mettere in campo. […] Per i nostri nemici fu invece una notte d’incubo: si credettero circondati da migliaia e migliaia di partigiani che sembravano annunciare l’ora della resa dei conti”.

Falò furono accesi anche sul Monte Favalto e sull’Appennino tosco-umbro fino a Cortona. Il sacerdote Giovanni Basanieri, che si trovava nell’eremo di Sant’Egidio, avrebbe riferito con un certo compiacimento l’effetto provocato dai fuochi notturni: “[…] gli innumerevoli falò dicevano ai fascisti: Se ci volete, venite a prenderci”.

Antonio Curina scrisse che quella notte, mentre una pattuglia partigiana si muoveva verso Città di Castello, vide militi fascisti sparare nel vuoto, perché temevano che quei fuochi accompagnassero un poderoso attacco dei ribelli. Che i fascisti da tempo scrutassero con preoccupazione nell’oscurità quelle montagne e interpretassero con un certo nervosismo quanto vi avveniva lo prova il contenuto di un Notiziario della GNR: “Il 19 corrente, alle ore 22.30, in diversi punti delle colline che circondano la piana di Arezzo, furono notate delle segnalazioni luminose. Da un’accurata osservazione […] si ebbe la certezza che da sette diversi punti si richiedeva e manteneva il collegamento. Non venivano usati i segni dell’alfabeto Morse, bensì quelli convenzionali in uso presso le bande comuniste”. I fascisti supposero che le segnalazioni preannunciassero un attacco partigiano ad Arezzo, poi non effettuato per l’arrivo di un convoglio tedesco.

 

Per il testo integrale, con le note e le fonti delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.