I sellai costruivano e riparavano le selle per cavalli, i più rozzi basti per muli e asini e i finimenti: morse, briglie, paraocchi, portastanghe, sottopancia e ogni altro elemento che costituiva la bardatura dei quadrupedi. Per alcuni manufatti si richiedeva anche pregio estetico; tutti dovevano essere durevoli e soprattutto ben costruiti, per permettere all’animale di lavorare al meglio. Si usava in particolar modo il cuoio, che il sellaio sapeva manipolare con destrezza.
Alla metà dell’Ottocento c’era un solo sellaio o “bastaro” reputato in condizioni finanziarie tali da poter pagare una tassa di esercizio. Si trattava di Carlo Tacconi (1815-1891), la cui bottega continuò a mantenere la preminenza in tale settore artigianale fino al 1891, anno della sua morte. Allora gli si era già affiancato Pasquale Pannacci (“Botolìno”, 1845-1915), che presentava così la sua attività di via San Florido: “Antica selleria di Pannacci Pasquale. Sellajo, bastajo e riparatore di carrozze. Si fornisce qualunque finimento”. La bottega di Pasquale Pannacci fu continuata dal figlio Emilio (1878-1936).
Negli anni ’20 e ’30 del Novecento venivano segnalati i sellai Gaetano Bertoldi (1882-1950) e Giuseppe Rossi. Bertoldi lavorava in “piazza della Gramigna” e nei giorni di mercato esponeva basti e selle lungo l’adiacente via San Florido. Alcune sue fatture per l’azienda agraria della Scuola Operaia “Bufalini” descrivono al dettaglio il tipo di fabbricazioni e di riparazioni cui solitamente si dedicava. Fece “il portastanghe doppio”, “un cricco novo”, “due stanghini al finimento”, “un guanciale novo per il legno con due reggitirelle novi alle stanghe”, “un mezzo petto novo con due tirellini” e “un feltro nuovo”. Si legge inoltre nelle fatture: “rapezzato il mantice”, “messe le chiavette al sottopiede” di un barroccio, “accomodato la briglia”, “messe due camerelle alle stanghe e due reggitirelle”, “messi due portamorsi alle guide”, “messa la ciambella nova”, “messo un pezzo di vacchetta al sottopancia”, “rimesso il frontino novo alla briglia”, “accomodato il finimento, rimessi i pezzi ai stanghini, una pezza al sottopancia, una pezza al petto, ricuciti i guanciali e altri punti”.
Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note