L’appagamento per il successo conseguito forse non riuscì a compensare la latente prostrazione per le fatiche accumulate. Il 3 settembre di quell’anno Scipione Lapi moriva d’infarto a Vallombrosa. Unanimi furono il cordoglio e le attestazioni di stima per quest’uomo che dal niente aveva portato a livelli industriali e al prestigio nazionale la tipografia tifernate. Raffaele de Cesare ricordò l’“idealista e artista, che non misurò mai i mezzi al fine”; Nicola Zanichelli ne avrebbe parlato come di un “editore innamorato dell’arte sua, ma povero quanto ardimentoso”; Carducci, come vedremo, lo definì “anima d’oro”.
Un nuovo pericolo si profilava ora all’orizzonte. Sarebbe sopravvissuta la ristampa dei Rerum, giunta al 23° fascicolo, alla morte del suo editore? Raffaele de Cesare intuì che solo la costituzione di un solido comitato di patroni avrebbe garantito al progetto le necessarie basi finanziarie. Comunicò l’idea a Fiorini, che a sua volta ne parlò con Carducci. Il poeta li invitò a Bologna. L’incontro avvenne il 4 gennaio 1904. Faceva un gran freddo. De Cesare e Fiorini trovarono il poeta ad aspettarli in una carrozza, “avvolto in una gran pelliccia”. Carducci portò gli ospiti in una trattoria ben riscaldata, “mangiò con gusto, parlò, si esaltò, fumò come un turco”, quindi lanciò la proposta di porre alla testa del comitato la regina Margherita: “In hoc signum vinces”, disse.
L’indomani, i tre si rividero per redigere la lettera da inviare alla regina. Fu Carducci ad esporsi in prima persona:
“Maestà. La nuova edizione dei Rerum Italicarum Scriptores è giunta ormai al suo 23° fascicolo e può considerarsi come assicurata. Se non che, dopo la morte improvvisa e dolorosa di Scipione Lapi, si affaccia un pericolo nuovo e pur troppo finora impreveduto, quello che la ristampa muratoriana si trovi esposta alle vicende dubbie di uno Stabilimento industriale, che ha perduto il suo fondatore e la sua mente direttiva.
Un gruppo di Valentuomini, da me chiamati, ha fatto il disegno di mettere al sicuro l’opera da me diretta e alla quale io ho legato il mio nome e che intendo seguire con affetto di padre e portare a termine fino a quando mi assisteranno le forze.
Questo mio tentativo ho fede che riuscirà; ma perché l’esito ne sia più certo e più pronto, occorre che la Maestà Vostra consenta che sia messo sotto il Suo Augusto Patronato.
Mi auguro che la M. V., la quale già consentì al povero Lapi di dedicarLe l’intiera opera, vorrà benignamente continuare questo suo concorso ad una impresa che ha avuto il plauso dei cultori degli studii storici, italiani e stranieri, e che con insperata fortuna ha fatto, in pochi anni, così rapido cammino.
Se la M. V. lo consente io pregherei il mio amico deputato De Cesare di venire ad informarLa particolarmente del modo come io intendo costituire, sotto il patronato della M. V., la nuova Società Palatina”.
La regina concesse prontamente l’udienza a de Cesare e aderì all’iniziativa mettendo a disposizione le prime 5.000 lire. Carducci la ringraziò il 30 gennaio: “Favorita da così illustri e fortunati auspici, la Società non può fallire al suo glorioso scopo”.
Fu lo stesso de Cesare a guidare il comitato di patronato. Ottenne molte adesioni, pur ammettendo che “si sarebbe potuto raccogliere di più”. Comunque la ristampa, anche per l’impegno finanziario che si assunse lo stesso Fiorini, procedette senza ulteriori impedimenti.