Nel periodo fra le due guerre la grande mole di lavoro prodotto dalle tipografie tifernati per il mercato nazionale cominciò a mettere a nudo uno dei grandi problemi strutturali che avrebbero travagliato l’intera industria nei decenni successivi: l’ammodernamento tecnologico. L’introduzione delle importanti innovazioni susseguitesi nel campo dellastampa dal XIX secolo, infatti, è avvenuta sempre con notevole ritardo. Le invenzioni della linotype e della monotype avevano permesso di ridurre considerevolmente il numero degli addetti alla composizione. Presentate per la prima volta in Europa all’Esposizione di Parigi del 1900, entrambe le macchine erano state introdotte in Italia tre anni dopo. Il progresso tecnologico, dunque, stava imponendo le sue leggi e anche le aziende di Città di Castello non avrebbero potuto ancora a lungo evitare di adeguarsi al nuovo modo di produrre e alla nuova organizzazione del lavoro richiesta dall’utilizzazione di macchine più sofisticate.
L’industria tipografica tifernate denunciò gravi difficoltà in questo processo di aggiornamento. Se è vero che prima della Grande Guerra la debolezza finanziaria delle aziende, ora in grave crisi, ora di recentissima costituzione, aveva fatto apparire irrealizzabili o prematuri i rilevanti investimenti richiesti, è altrettanto vero che a questo punto il destino stesso delle tipografie sarebbe dipeso dalla volontà di affrontare positivamente e con prontezza il problema.
Anche se con un certo ritardo, la composizione meccanica venne introdotta in questo periodo. La prima monotype cominciò ad operare alla «Leonardo» nel 1932 e, di lì a poco, anche all’«Unione Arti Grafiche». La «Lapi», invece, restò ferma alla composizione a mano fino a dopo la seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda le linotypes, esse hanno fatto la loro comparsa solo nell’ultimo dopoguerra.
Diversi fattori hanno rallentato l’ammodernamento tecnologico. Innanzitutto la debolezza finanziaria. Non sempre, infatti, il capitale a disposizione delle aziende, specie se cooperative, era tale da poter permettere un investimento in nuovi macchinari. A ciò si deve aggiungere una sostanziale impreparazione dell’ambiente tipografico locale, sia, talvolta, a livello dirigenziale, sia nell’atteggiamento delle maestranze. Si stentava a comprendere l’importanza dell’apporto della nuova tecnologia alla composizione, alla stampa e alla confezione del libro. Così, ragioni di carattere sentimentale, occupazionale e finanziario convergevano nel mantenere questa «ostilità aperta o velata fra l’uomo e il motore, fra la mano e la macchina».
Eppure «La Bozza», nel 1933, non aveva sottovalutato il problema: «Ci siamo sempre chiesti […] se la presente organizzazione dell’industria tipografica potrà sopravvivere al vigoroso avanzare di una tecnica sempre più perfezionata e alle sempre più felici applicazioni della meccanica nel campo dell’arte della stampa. In nessun altro ramo come in quello della tipografia, la meccanica ha fatto passi più accelerati: lo scheletrico torchio di legno è di ieri, se vogliamo; eppure, oh! quanto lo rendono lontano le ultime applicazioni che escludono il compositore, la piegatrice, la cucitrice, il legatore; che hanno distrutto il banco, la cassetta, il vantaggio, la fonderia, riducendo tutto ad una macchina sola». L’ostilità nei confronti delle nuove tecnologie restò consistente anche negli anni successivi. Si faceva ricadere sul nuovo modo di lavorare, infatti, caratterizzato da una quasi completa meccanizzazione della produzione, la colpa del sempre più evidente abbassamento del livello estetico del materiale stampato. Questo indirizzo, si sosteneva, avrebbe potuto minare l’indiscusso prestigio conquistato dalle aziende tifernati soprattutto per la riconosciuta qualità dei propri prodotti. «La Bozza», nel 1947, dava voce ai sostenitori di questa tesi: «Il vero tipografo che deve in molti casi produrre, obbedendo a necessità di carattere economico sotto l’assillo della concorrenza, si rallegra però quando può eseguire un lavoro nel quale torni a riapparire l’arte che egli ha appreso da grandi maestri e da grandi esemplari». La rivista, comunque, si adoperò nell’intento di stimolare il mondo tipografico locale a superare ogni remora di fronte all’essenziale aggiornamento tecnologico. Oltre a sottolineare le esigenze economiche che rendevano necessario produrre di più e meglio, con minor tempo e più margine di profitto, l’articolo concludeva: «Nessuna forza può ritardare né fermare il rullo compressore del progresso meccanico… Perché
continuare a stancarsi e logorarsi la vista per la paziente raccolta di lettere, quando il tasto delle compositrici le chiama veloci e le offre sempre nuove?»