Il censimento a scopi fiscali redatto nel 1851 citava tre scalpellini: Benedetto Frati, Giuseppe Pini e Pietro Martini. Però stabiliva di tassare di 80 baiocchi annui solo quest’ultimo, evidentemente il più importante dei tre. In effetti “mastro” Pietro Martini aveva fama di essere “lo scarpellino il più intelligente della città”. Figlio del “selcino” – o “stradino” – Giulio, aveva formato con lui una società di fatto: l’uno acquisiva dal Comune l’appalto della costruzione e della manutenzione delle strade interne; l’altro provvedeva alla fornitura delle pietre per i selciati e i lastricati.
Di Giulio Martini si ha notizia sin dal 1823, quando assunse l’appalto della ricostruzione della principale strada tifernate da porta San Giacomo a porta Santa Maria, “per un terzo a pietre larghe”. Usò materiale della cava di Fontecchio, o “dei Cappuccini Vecchi”, che trasportò con sue “vetture”. La pietra di Fontecchio era l’unica all’epoca disponibile: “[…] nei torrenti di Soara e Ributtio, da dove è prescritto in perizia doversi ritrarre il materiale necessario per la costruzione di dette strade, non esiste al presente alcuna sorta di sasso da potersi impiegare per l’oggetto sud.to, essendo stata esaurita la quantità reperibile per la costruzione del primo tratto già ultimato”.
Giulio Martini era l’unico “selcino” di Città di Castello. Negli anni successivi mantenne l’incarico della ricostruzione di nuove vie e vicoli, della loro pulizia – per suo conto, fungeva da “spazzatore” Angiolo Fiorucci – e dello spurgo delle cloache. Si trattava di un’occupazione costante, che però doveva sempre fare i conti con le ristrettezze finanziarie comunali. La manutenzione delle strade richiedeva continua mano d’opera e di tanto in tanto, su pressione degli abitanti, si provvedeva a selciarne una nuova. Era lo stesso Martini e redigere perizie e progetti.
Per quanto fosse un personaggio professionalmente di un certo rilievo, come quasi tutti gli artigiani Martini viveva in condizioni precarie. All’epoca della Repubblica Romana rivolse una supplica alle autorità, perché da lungo tempo senza lavoro; inoltre dovette chiedere un sussidio per accudire alla moglie “gravemente dementata”.
Ancora nel 1853 Giulio Martini e il figlio Pietro lavoravano insieme – con diversi incarichi – al rifacimento del selciato delle vie più importanti della città. Da qualche anno Giulio aveva associato nella sua impresa Giuseppe Fiorucci, che, con il padre Ventura, era stato a lungo suo stradino.
Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note