Le traversie del dopoguerra avevano impedito una pronta rinascita della Banda Municipale. Solo nel 1923 il Comune la ricostituì, nonostante che, per le ristrettezze finanziarie, fosse stato costretto a sospendere i corsi della scuola di musica. Benché licenziato come insegnante, Arcaleni riprese comunque le redini della formazione. Dopo il debutto in “piazza di sopra”, difficoltà di ordine tecnico e organizzativo impedirono alla Banda di esprimersi al meglio e la sua attività cessò. Quando, due anni dopo, Amedeo Corsi e l’Accademia degli Illuminati avrebbero preso l’iniziativa di fondare la Società Filarmonica “Giacomo Puccini”, Arcaleni si sarebbe dedicato agli altri suoi folti impegni artistici e professionali; la direzione sarebbe stata assunta dal maestro fanese Ettore Ghiandoni.
Ormai quarantenne, in quel 1923 Arcaleni poteva apprezzare il rigoglio culturale che animava Città di Castello, con l’intima soddisfazione di sentir richiesto il suo contributo ogni qualvolta dovessero arieggiare note musicali. Al “Vittoria” ed agli “Illuminati” si susseguirono compagnie di prosa, recital lirici, operette; quindi fu proposta “La Traviata”. La Filodrammatica mise in scena l’operetta-rivista “Arabe Fenice”, ideata dal tifernate Enrico Riguccini. Il “maestrino” compose gran parte della musica e diresse orchestra e coro. Il numerosissimo pubblico si mostrò meno caloroso del solito, provocando il risentito commento del settimanale “Polliceverso”. E’ un lavoro dignitoso, – scrisse il periodico fascista – con scene che non avrebbero sfigurato in operette di prim’ordine: perché fare “esagerati paragoni” e non tenere in debito conto che si tratta del lavoro di un gruppo di filodrammatici dilettanti? Il fatto testimonia comunque delle forti attese del pubblico tifernate, che, per quanto popolare, era abituato a spettacoli di alto livello. In quella circostanze non fu comunque in discussione la musica di Arcaleni: la si giudicò “agile, scorrevole, intonata, che ben sottolinea e accompagna l’esecuzione”.
Pochi mesi dopo tornò in città la grande lirica, con una serie di rappresentazioni, definite “trionfali”, di “Madama Butterfly”. La protagonista, Ersilia Bosich, destò l’entusiasmo di quanti affollarono il “Vittoria”: “Ella può superbamente rimanere lusingata per la schietta e vibrante simpatia con la quale il nostro pubblico la circuisce, l’applaude, la festeggia…”. Così come Arcaleni fu complimentato per la lodevole esecuzione del coro, si riconobbero grandi meriti anche all’orchestra, composta, eccetto alcune prime parti, di musicisti dilettanti locali.
Nel 1925, con l’operetta comica “Addio Giovinezza”, per la quale il “maestrino” come di consueto arrangiò la musica e diresse l’orchestra, l’Accademia Filodrammatica convinse anche i più scettici e dette inizio a “uno dei periodi più luminosi” della sua storia. Alla fine di quel decennio la diressero illustri attori come Manlio Calindri, Tito Benvenuti e, a lungo, Giovanni Dolfini, chiamati in città a prezzo di cospicui sacrifici finanziari per dare maggior lustro alle rappresentazioni ed apprendere i segreti dell'”arte del dire”. In quegli anni di febbrile attività, le operette frequentemente si alternarono alle commedie proprio per la fortunata circostanza di avere in città un musicista della competenza e della disponibilità di Arcaleni ed uno stuolo di appassionati che univano dignitose doti canore alla passione per la recitazione. Furono messe in scena “Santarellina”, “Le campane di Corneville”, “Acqua Cheta”, “Casa Mia, Casa Mia!” e “Madama di Tebe”: in tutte queste circostanze Arcaleni svolse il ruolo di “maestro concertatore e direttore d’orchestra”.
Il successo dell’Accademia Filodrammatica ribadì comunque il carattere eminentemente “popolare” di queste esperienze artistiche tifernati. Anche i fascisti furono costretti a lamentare agli spettacoli l'”assenteismo completo della grandissima maggioranza delle famiglie più in vista della città”: “Se fosse per costoro” – si legge nel loro periodico – “Città di Castello potrebbe essere anche tolta dalla carta geografica…”.
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).