Il lavoro dei buoi nella campagna altotiberina.

Gli appalti

Nel contratto di mezzadria la manutenzione degli attrezzi e la cura degli animali da lavoro spettava ai coloni. Nel caso di rapporti di clientela continuati, vigeva tra costoro e i fabbri ferrai il sistema dell’“appalto”: questi, come remunerazione per le prestazioni effettuate, all’epoca del raccolto ritiravano la “mu­lènda”, un contributo in grano, uva e altri prodotti del podere. Infatti, i mezzadri riuscivano a saldare i debiti una volta all’anno e, siccome di denaro ne girava assai poco, pagavano in natura. La “mulènda” era pertanto consuetudinaria; così, alla battitura e alla vendemmia il fabbro ferraio prendeva il carretto e girava la campagna per ritirare quanto pattuito con i clienti.
L’entità dell’appalto si concordava sulla base della quantità dei bovini e della superficie del podere: più era esteso, più si usuravano attrezzi, maggiore opera di manutenzione si poteva prevedere. Il fabbro ferraio Secondo Conti aveva circa 150 appalti: “Al­la battitura raccoglievo un’ottantina di quintali di roba, tra grano e granturco. Chi dava una mina [25 kg, n.d.a.], chi mezzo quintale, chi 80 chili. Alla vendemmia fa­cevo una de­cina di quintali di vino.” Il suo predecessore, Vito Vallini, contava circa 120 appalti e raccoglieva 20-25 quintali di grano; inoltre prelevava del granturco, dell’uva e, a Pasqua, del­le uova accantonate dalle donne dei mezzadri in cambio di qualche manufatto dome­sti­co realizzato su lo­ro ordinazione. Anche Bis­ta Ma­striforti vanta­va oltre un centinaio di ap­palti, in un’area molto vasta tra Santa Lu­cia, San Secondo e Lerchi; li ritirava con un carretto trainato da un somarel­lo. In­vece Luigi Benedetti, fabbro ferraio a Perrubbio, il giorno stabilito per la “mulèn­da” organizzava una bella fe­sta nell’aia e of­friva da mangiare a tutti quei contadini che, provenienti da una vasta area collinare, gli venivano a consegnare il pat­tui­to: “Face­va oltre 80 quintali di grano; e inoltre granturco, uva e fieno, che portava­no con la treggia.”
La consuetudine dell’appalto, che comunque non comprendeva l’acquisto di attrezzi, pagati dal contadino per lo più in denaro, non era sempre conveniente per l’artigiano. Dipendeva dall’estensione e dalla fertilità del pode­re: “[…] con quèl bóno se guadangnèa, con quèl tristo s’armettéa”. Le condizioni di vita del fabbro ferraio con esiguo numero di appal­ti potevano quindi diventare assai difficili. Bi­sognava mettere nel conto che la “mulènda” la si raccoglieva alla battitura e alla vendemmia e che per il resto dell’anno le magre entrate avrebbero causato costanti difficoltà per saldare i debiti con negozianti e fornitori. Il piccolo fabbro ferraio aveva quindi modo di invidiare il misero ma stabile stipendio del tipografo e della “tabacchina”; anche nella sua fa­miglia, come si soleva dire, talvolta “la fème arvultichèa”.