Frattanto, nel primo decennio del Novecento, a Città di Castello raggiungeva un’apprezzabile dimensione l’officina “a energia elettrica” di Giuseppe Montani, detto “Palombone”. Montani (1874-1932) riprese il mestiere di fabbro dal padre Zenobio (1846-1900). Ancora oggi si usa il termine di “Palombone” per identificare quel tratto del pomerio San Bartolomeo dove egli operò per anni.
Montano produceva attrezzi agricoli, infissi e ferramenta per fabbricati; realizzò anche importanti manufatti in ferro battuto, su tutti il cancello per il palazzo Bufalini di Firenze e, per il cimitero tifernate, la cancellata in “stile Trecento” del giardino e il grande cancello per il campo comune. Da una foto del tempo si può dedurre che occupasse una decina di operai. Inizialmente trovò sede all’interno del complesso di palazzo Vitelli a Sant’Egidio, lungo il pomerio San Bartolomeo. Poi si trasferì nella vicina via dei Lanari.
A partire dal 1910, Montani ricevette numerose commesse municipali, che permettono di far luce sul tipo di lavoro richiesto ai fabbri in quell’epoca. Oltre all’ordinaria attività di manutenzione nei fabbricati di proprietà comunale, realizzò inferriate per le carceri e per i locali della monta equina, targhe per le elementari rurali e per segnalazioni di divieto, sedili per i giardini, vetrate in ferro, “ripari per le latrine” e “orinatoi con cappello di lamiera”, una cancellata per la bascula del mercato, chiavi e serrature; riparò anche il termosifone degli uffici comunali, il castello della campana dell’orologio sulla torre del municipio e le stufe delle scuole.
Montani si impegnò assiduamente nelle organizzazioni del volontariato assistenziale: fu “cameriere di tavola” nella Compagnia di Sant’Antonio, che d’inverno offriva pasti caldi agli indigenti, e dirigente della Società Laica del Camposanto, con responsabilità anche nella Commissione di Fabbrica preposta alla costruzione del cimitero. Benché beneficiasse anche lui di qualche commessa, non godette di evidenti privilegi5. Gli integerrimi confratelli della Società vigilarono affinché gli artigiani prescelti garantissero nel contempo alta qualità e il massimo risparmio possibile. Per il grande cancello d’ingresso al cimitero, nel 1915, scelsero il fabbro di San Gimignano Olinto Ceccarelli. Inoltre, cinque anni dopo, non avrebbero preso in considerazione un’offerta avanzata da Montani, insieme a Falchi e Beccari, per la fabbricazione di 14 cancellini a formelle trecentesche in ferro battuto, perché i fabbri tifernati non erano in grado di versare il previsto deposito cauzionale.