Rosina Chialli, una delle vittime del bombardamento.
Manifesto funebre con i nomi delle vittime.
Monumento sul luogo dove si situava la casa bombardata.

Giornelli Antonia e Fiorucci Luigi. Testimonianze sul bombardamento di San Secondo

Il 14 maggio 1944 una formazione di 16 velivoli P. 47D del 57° Fighter Group bombardò il tratto di ferrovia da Città di Castello a Trestina. Rimasero coinvolti anche gli adiacenti centri abitati. Alle ore 10.45, a Sansecondo, una bomba centrò un’abitazione. Si contarono 16 vittime e diversi feriti.

 

Giornelli Fiorucci Antonia

Avevo 20 anni. Mi trovavo in casa. In cantina, tramutavo il vino. La porta era aperta. Altre persone sopraggiunsero all’improvviso quando arrivarono gli aerei. C’era un cane con me. Vidi due aerei sopra il Colcello che venivano in picchiata: “Chiudi… chiudi la porta!”. Eravamo in cinque nella cantina più un uomo colpito mentre cercava di entrare. Una di queste aveva la corona in mano e l’agitava nervosamente. “Se muoio pazienza”, si sentiva in pace con il Signore. La bomba che cadde nel giardino ci gettò tutte per terra. Mi sentii dolorante e tramortita; poi ci crollò tutto addosso per la seconda bomba. Sembrò un’eternità, un periodo lunghissimo nel quale continuavano a cadere addosso detriti. Una trave posatasi sopra il mio petto impedì che i sassi mi schiacciassero. Invocai la Madonna di Canoscio “Madonnina non farmi morire che se no vado all’inferno”. Dei calcinacci mi erano caduti sulla testa, con il dito riuscii a togliermi dei calcinacci dalla bocca e a gridare aiuto. Sentii il prete, don Silvio Palazzoli: “Silenzio, c’è qualcuno che chiama…” “Si, don Silvio, sono io, sono la Tonina”. Mentre scavavano li pregai di far piano perché sentivo che mi pigiavano addosso i mattoni. Poi riuscii ad alzare i bracci e a togliermi dal viso i calcinacci. Ero immobilizzata. Mia zia morì sul colpo con il volto schiacciato sulla terra della cantina; sentii un gemito e morì. Assunta Mancini si salvò in fondo alla cantina miracolosamente perché le travi cadendo formarono una specie di capanna. Dal terrore nemmeno gridava aiuto. Le altre donne non morirono subito, erano ancora in vita. Ero tutta ferita, con 19 buchi sulla testa. Avevo la mandibola fratturata, l’anca ferita, le gambe annerite ma non rotte.
Mi dettero l’olio santo due volte appena salvata e all’ospedale, ma sopravvissi.
I Saberogi erano in un altro ambiente al pianoterra. Ci stavano a dormire, l’avevano affittato per lo sfollamento. Morirono 11 su 13 Saberogi. Una fu ritrovata il 10 settembre. Era stata scaraventata lontano. La ritrovarono seccata, sotto una trave, mentre ripulivano i dintorni dalle macerie. I suoi funerali erano già stati celebrati. Infatti l’esplosione aveva dilaniato i corpi dei Saberogi e il riconoscimento (e anche il conteggio) dei morti era stato problematico. Si salvarono miracolosamente una donna, Eva Guerrucci in Saberogi, ed il bambino che aveva stretto a sé. Il bimbo non ebbe nemmeno una scalfittura. Alcune delle vittime erano venuti a trovare i parenti per la domenica.
La casa era di proprietà dei Giornelli. Sopravvissero la moglie del proprietario e 4 figli, un maschio e tre femmine.
Ricominciammo a ricostruire le case nel ’45 riutilizzando tutti i mattoni ed il materiale recuperabile. La ricostruimmo a stralci. Fu terminata nel 1964 circa.

 

 

Fiorucci Luigi

Era una casa del settecento, si chiamava La Mattonaia. Esplosero due bombe, una nel giardino, creando un cratere molto profondo che restò a lungo e raccolse molta acqua, e un’altra centrò in pieno la casa, proiettando detriti per un raggio di 500 metri. Una delle bambine vittime fu ritrovata molto distante coperta da una tavola dalla quale era stata schiacciata. Nessuno sapeva il numero esatto delle vittime perché alcuni vi si rifugiarono improvvisamente e non erano ospiti dei Saberogi. Altre tre bombe caddero nei pressi. L’obbiettivo era il ponte. La casa si trovava a 300 metri. Le bombe in vicina successione colpirono fino a 200 metri dal ponte, che fu mancato.

 

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