Tevere Gino Bartali a Città di Castello nell’immediato dopoguerra.

Gino Bartali nell’Alta Valle del Tevere

Si legge nel diario di Venanzio Gabriotti, alla data del 14 novembre 1943: “[Il vescovo Filippo Maria Cipriani] mi dice che il Vaticano, per corrispondere con dei vescovi, si serve di speciali corrieri ciclisti. Ieri è giunto da lui il noto corridore ciclista Bartali – famoso per le vittorie ottenute nelle corse nazionali e internazionali – con un plico che deve essere recapitato al cardinale Dalla Costa di Firenze”. Gabriotti, stretto collaboratore di Cipriani, venne dunque a conoscere il delicato e rischioso operato di corriere antifascista che Gino Bartali stava svolgendo tra Firenze e Assisi, camuffando i lunghi spostamenti come allenamenti per la sua attività professionale ciclistica.

Bartali (1914-2000) era già un corridore conosciutissimo a livello internazionale, grazie alle vittorie nei Giri d’Italia del 1936 e 1936, del Tour de France del 1938 e di numerose altra gare di grande rilievo. Nel dopoguerra avrebbe mantenuto un estremo riserbo sul suo apporto alla Resistenza e al salvataggio degli ebrei tra il settembre 1943 e il giugno 1944. Tuttavia, soprattutto dopo la sua morte, si incrociarono tali e tante testimonianze sulla sua attività clandestina, che nel settembre 2013 lo Yad Vashem – il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’Olocausto – lo ha dichiarato “Giusto tra le nazioni” per aver contribuito a salvare la vita di ebrei perseguitati, mettendo a repentaglio la propria.

Ad incontrare Bartali una decina di volte a Monte Santa Maria Tiberina, e ad assistere alla consegna di documenti inviati da dirigenti della Resistenza, fu Piero Signorelli, vice-comandante della banda partigiana della zona: “Veniva quassù anche perché un suo cugino aveva sposato una donna di qui. Quando andava da Arezzo ad Assisi, appena arrivato a Monterchi prendeva per Lippiano, saliva al Monte, ci si fermava perché aveva questa parente; poi scendeva per la valle dell’Aggia e passava il Tevere al ponte di Montecastelli. Così poteva giustificare il giro con quella visita di famiglia ed evitava i posti di blocco nell’Alta Valle del Tevere, nella zona di Città di Castello. Essendo ciclista professionista, Bartali aveva uno speciale permesso scritto in italiano e tedesco che gli permetteva di muoversi liberamente. Aveva sempre indosso l’abbigliamento da corridore, la divisa sportiva e la bici da corsa. Anche Guerriero Baffo, il capo della nostra banda partigiana, per tenere i contatti con Arezzo e Firenze si fece passare per ciclista. E viaggiava in bici con Bartali, fiorentino come lui. Si conoscevano da prima della guerra. Bartali era molto aperto e gioviale, ma anche circospetto; non ci parlava di quello che andava a fare ad Assisi. Però era apertamente antifascista”.

Gino Bartali nascondeva i documenti trasportati all’interno del manubrio e delle canne della bicicletta. Aveva come punti di riferimento l’arcivescovo fiorentino cardinale Elia Angelo Dalla Costa, il rabbino Nathan Cassuto e l’ambiente cattolico di Assisi.

Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.