Gabriotti ricevette naturalmente una più intensa solidarietà dall’ambiente cattolico, dove contava un gran numero di amici. Sapeva di godere della fiducia di Liviero; gli faceva frequenti visite, spesso rimanendo a cena, e lo aggiornava su quanto avveniva in città. Non di rado assisteva alla sua messa, per poi scambiarci quattro chiacchiere in sacrestia. Era una fonte di informazioni preziosa e inesauribile, un confidente credibile e riservato; grazie a lui il vescovo riusciva a sapere tutto e prima di tutti. Un legame così stretto suscitava qualche invidia, anche perché Gabriotti, nonostante non ricoprisse cariche nelle associazioni cattoliche, indubbiamente contribuiva a determinare decisioni importanti.
Era un efficiente amministratore dei beni ecclesiastici. Manteneva abituali legami di lavoro con tutti gli uffici, tanto da diventare molto influente ben oltre i confini del mondo cattolico. Di ciò poté beneficiare la stessa Chiesa locale. Scrissero di lui: “Gabriotti riuscì ad attirare la benevola attenzione di enti e istituti sull’attività del vescovo di Città di Castello, volta ad alleviare le infinite miserie di tanti figli del popolo: molte volte nelle difficili situazioni finanziarie, quando mons. Liviero era nell’imbarazzo per le grandi opere compiute, interveniva provvidenzialmente qualche vistosa offerta a liberarlo dal disagio, provocata dalla tempestiva e accorta iniziativa di Venanzio. Di queste sorprese godeva un mondo farne al vescovo…” Non era un mistero che Gabriotti si muovesse talvolta con spregiudicatezza. Gli capitava infatti di trascurare gli aspetti formali e non esitava a “forzare” le leggi pur di raggiungere lo scopo prefissato. Questo suo modo di fare, generalmente giustificato da nobili cause, era tollerato da Liviero, non foss’altro per i vantaggi materiali che gli abili “maneggi” dell’amministratore sovente procuravano alle sue iniziative filantropiche.
Non solo gli ecclesiastici approfittavano della sua scaltra intraprendenza. Chi si trovava nei pasticci sapeva che il Cavaliere avrebbe trovato una via d’uscita. La versatilità del suo ingegno e la straordinaria conoscenza degli uomini e delle leggi facevano sì che egli non fosse estraneo a nessun problema. La sua generosità divenne proverbiale. La gente non lo apprezzava soltanto per le doti di consulente e mediatore, ma anche per la beneficenza che faceva pagando di tasca propria.
Liviero morì il 7 luglio 1932. Gabriotti scrisse di lui: “L’attività caritativa di mons. Carlo Liviero non è stata che un mezzo per raggiungere uno scopo: conquistare anime a Dio. Questo fu l’assillo costante del suo cuore, e questo perseguì con la predicazione meravigliosa continua su temi disparati, con sistemi particolari, con elevatezza e sublimità di pensiero o con semplicità di frasi; con invettive violente o con ironia mordace e barzellette a seconda dei momenti e della diversità degli ascoltatori.” In un altro articolo così ne descrisse una tipica giornata: “In chiesa fin dalle prime ore del mattino, confessava, celebrava la S. Messa, confessava ancora e poi subito al lavoro di organizzazione per tutta la giornata, salvo due ore per il riposo. La sera in Duomo, rosario, predica e poi in casa a studiare fin verso mezzanotte.”
L’estratto è una breve sintesi, senza note, del testo in Venanzio Gabriotti e il suo tempo (Petruzzi Editore, 1993).