Nel 1806, morto Bartolomeo Carlucci e cessata l’attività da parte dei Brizi, Francesco Donati rimase l’unico stampatore in città. Da allora fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso sarebbe stato il suo torchio a imprimere la totalità delle pubblicazioni prodotte localmente.
Risiedeva nella parrocchia della Cattedrale e già nel 1807 occupava i locali sopra la “Salara” – in seguito denominata “Pesceria” – dove tuttora ha sede la tipografia. Proprio le vicende relative all’affitto di quegli ambienti gettano una prima luce sulle condizioni di vita di Donati. Il Comune, proprietario dello stabile, gli intimò di “soggiacere a pagare l’appigione delle stanze”. Lui supplicò di essere esentato. Si legge nei verbali del Consiglio di Credenza: “[Donati] è forastiere, carico di famiglia, ed esercita un impiego non solo a benefizio del pubblico, ma anche di onore, e decoro della città, e d’onde non ritrae, che ristrettissima, ed interrotta utilità, per cui vedesi impossibilitato a poter supplire anche alla spesa dell’apigione”.
Donati avrebbe resistito a lungo e con successo alle pressioni comunali.
Per quanto gli fossero affidati tutti gli stampati per il Municipio, Donati riusciva a mala pena a sopravvivere mettendo insieme le commesse di varia natura che gli giungevano. Molte erano religiose. Tra di esse, le tesi che gli studenti di teologia illustravano in pubblici incontri e davano poi alle stampe in lingua latina. Anche frati e sacerdoti si cimentavano in tali dibattiti.
Emerge inoltre una frequente e variegata produzione in versi: componimenti in fogli pubblicati in occasione di matrimoni, per feste religiose o per la vestizione di suore nei conventi tifernati. Era inoltre consuetudine celebrare con poesie la trascinante forza oratoria dei predicatori che giungevano in città per la quaresima.
La documentazione di un’altra commessa affidata a Donati rammenta un rilevante fatto di cronaca: all’inizio del 1809 le autorità religiose gli fecero stampare la descrizione di tre dipinti “derrubati” nottetempo in Cattedrale. Per quel furto, Città di Castello perse irrimediabilmente una tavola di Ridolfo Ghirlandaio, una tela del Pomarancio e un altro grande quadro in tela del Gagliardi.
Di altri e più frequenti lavori minuti di Donati per le amministrazioni civile e religiosa – editti, notificazioni, avvisi, lettere di invito, certificati -, vi sono cospicue tracce negli innumerevoli fascicoli degli archivi tifernati: documentazione che scandisce la storia quotidiana della città.
L’estratto è una breve sintesi del testo in A. Tacchini, La Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia (1999).