Nei primi del Novecento Città di Castello si avviava dunque ad avere due fornaci di cospicue dimensioni. La Fornaci Sociali Hoffmann, o Forni Hoffmann, veniva popolarmente denominata “Fornacione”; poi la si chiamò anche “Santinelli”, dal nome del proprietario Giovan Battista Santinelli. Produceva calce, mattoni pieni a mano e a macchina, forati, tavelloni a incastro, volterrane copriferro, copriferro e tavelloni retti da soffitto. Garantiva il materiale “a qualsiasi congelazione” e si dichiarava specializzata in coperture di tetti alla marsigliese”. La fabbrica era raccordata direttamente con la linea ferroviaria dell’”Appennino Centrale”. L’azienda di Riosecco si identificò sempre con la famiglia Massetti. Luigi Massetti (1877-1938) aveva un fratello, Giovanni (1875-1917), che per un certo periodo lo affiancò nell’azienda. Nel 1913, insieme a Luigi Massetti, figurava comproprietario Romeo Leoncini. Nei primi anni ‘20 si associò G. Giornelli. Negli anni ‘30 e ‘40 si definiva “Premiata Fornace Sistema Lanuzzi di Luigi Massetti & Figli”.
Le informazioni sui livelli occupazionali delle due fornaci sono contraddittorie. Nel periodo fra le due guerre mondiali, secondo annotazioni municipali, dettero lavoro complessivamente a un minimo di 30 a un massimo di 80 dipendenti. Ma non si tratta di dati ufficiali.
Le due fornaci rimasero a lungo attive. Nel dopoguerra, beneficiarono dell’incremento delle commesse determinato dall’espansione edilizia. A Riosecco, la “Massetti” – diventata di proprietà di Gino, figlio di Luigi, e dei nipoti – attuò una ristrutturazione generale delle attrezzature, con il superamento del sistema Lanuzzi e dei suoi forni interrati e la riconversione al sistema Hoffmann. Nel giugno del 1952 contava 45 dipendenti; quattro anni dopo erano 49, nel 1963 ancora 45. L’azienda, con la stessa proprietà, nei primi anni ’70 avrebbe assunto la denominazione di Fornace Massetti Riosecco srl. Cessò l’attività produttiva nel 1982, anno della morte di Gino, trasformandosi in società immobiliare. A quell’epoca manteneva sui 35 addetti.
Il “Fornacione” rimase di proprietà dei Santinelli, con Sante (1913-1971) che subentrò al padre Giovan Battista (1856-1945). L’azienda continuò a rinnovarsi dal punto di vista tecnologico. Già nel 1950 si plaudiva all’acquisizione di una moderna mattoniera di marca tedesca che avrebbe garantito una produzione di laterizi più copiosa ed economica e, si sperava, avrebbe facilitato l’auspicata crescita edilizia. Negli anni successivi il “Fornacione” meccanizzò l’intero ciclo di lavorazione e impiantò un tunnel di essiccazione. Nel 1963, trasformatosi in una società per azioni, dava lavoro a 64 dipendenti. Stavano però per mostrarsi le prime avvisaglie di una seria crisi. Azionista di maggioranza era diventato l’ISAP (Istituto Sviluppo Attività Produttive); nonostante l’influsso di nuovo capitale da esso garantito, la produttività rimaneva a un “livello insoddisfacente e insostenibile” e necessitavano altre risorse per un ulteriore “rammodernamento degli impianti aziendali”. I soci non si trovarono concordi sulla via da seguire e non raggiunsero alcun risultato le pressioni cittadine e una disperata occupazione dello stabilimento da parte delle maestranze. Il “Fornacione” cessò l’attività all’inizio del 1966.
Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note