Il ritorno in prima linea provocò in Gabriotti sensazioni angosciose. Vide rovine e devastazioni in luoghi che ricordava fertili e rigogliosi di vita.
Il suo reparto, la brigata Forlì del 43° reggimento fanteria, fu coinvolto in furiosi scontri all’inizio di luglio nella Val d’Assa, presso Roana. Nella prima vera prova del fuoco emerse il coraggio e l’altruismo di quest’uomo così alieno dalla retorica e diverso, anche fisicamente, dallo stereotipo dell’eroe. Durante i combattimenti per la conquista di quota 878 scorse un capitano gravemente ferito e non esitò a gettarsi in suo aiuto. Impiegò due ore a percorrere, strisciando per terra, il breve tragitto che lo divideva dall’ufficiale, mentre gli austriaci impietosamente tentavano di fermarlo con raffiche di fucileria. Riuscì a portarlo in salvo. In quello stesso giorno, intravide un soldato di un’altra compagnia ferito ad una gamba e bloccato allo scoperto, impossibilitato a muoversi. Il fante implorava aiuto, ma nessuno osava avventurarsi a soccorrerlo. Gabriotti non ci pensò più di tanto e, vanamente trattenuto dai suoi stessi uomini, azzardò l’impresa. Sotto il fuoco delle mitragliatrici raggiunse il ferito, lo medicò e lo riportò in trincea caricandoselo sulle spalle. I soldati del reparto lo osservarono trepidanti e ne salutarono il ritorno con una calorosa manifestazione d’affetto. Nulla sfuggì agli ufficiali superiori, che avrebbero rievocato gli avvenimenti di quel 7 luglio nel conferirgli la medaglia d’argento al valor militare.
Il coraggio di Gabriotti stupiva chi gli era vicino. Affermava addirittura di “godere” nel cercare di avvicinarsi alle linee nemiche. Tanta audacia, che scaturiva dal totale disinteresse per la propria sorte, poteva talvolta sembrare pura incoscienza. Certamente l’ufficiale tifernate dimostrava una libertà interiore inconsueta. L’esperienza della guerra lo affascinava per quanto di profondo svelava sulla realtà dell’uomo, della natura, della vita, di se stesso. Nel raccontare le vicende belliche nelle sue lettere a “Il Dovere” non cadde mai nella retorica e nel sentimentalismo. I crudi resoconti delle battaglie e le intense riflessioni personali si alternavano a descrizioni sdrammatizzanti.
Ogni tanto gli venivano comandate azioni di particolare pericolosità. Quando gli chiesero di costruire un sentiero in una zona del tutto scoperta, per sei giorni fu bersagliato dalla fucileria austriaca e temette davvero di non sopravvivere all’operazione.
Scegliendo di condividere con i subordinati rischi e difficoltà quotidiane, senza alcuna ostentazione dell’autorità gerarchica, Gabriotti si circondò di soldati motivati e fedeli, legati all’ufficiale da un rapporto quasi famigliare.
Gabriotti si guadagnò sul campo la promozione a tenente. I superiori lo consideravano uomo “molto colto e d’ingegno versatile, attivissimo, energico e valoroso”, dotato di grande carisma: “I soldati hanno per lui affetto e stima illimitata, perché ha saputo trovare il giusto equilibrio tra la familiarità e l’energia necessaria a mantenere l’ordine per guidare la truppa al compimento del proprio dovere, senza esitanze e col massimo rendimento.”
Si moltiplicarono gli episodi di ardimento di cui fu protagonista. Nel febbraio del 1917 gli tributarono degli encomi solenni per una pericolosissima ricognizione diurna per la quale si era offerto volontario.
L’attività bellica si intensificò. Gabriotti effettuò numerose ricognizioni diurne e notturne. Stremato dalla fatica ma sempre in azione, ebbe la soddisfazione di vedere iscritti altri encomi solenni nel suo libretto personale.
Il 29 aprile gli fu concessa una licenza ordinaria per poter rivedere la famiglia. Un violento terremoto aveva colpito l’Alta Valle del Tevere, causando danni e panico anche a Città di Castello. In quei giorni veniva processato un soldato del suo reggimento per un grave atto di insubordinazione. Rischiava la pena capitale. Gabriotti chiese di poterlo difendere davanti ai giudici militari. Lo fece in modo appassionato ed efficace e l’uomo ebbe salva la vita.
L’estratto è una breve sintesi del testo in Venanzio Gabriotti e il suo tempo (Petruzzi Editore, 1993).