Giulio Puletti
Teresa Landucci
La croce eretta sul colle presso Valdimonte in memoria della deportazione.
Lapide commemorativa.

Da Valdimonte oltre la Linea Gotica: storie di deportazione

“Innalzata a ricordo della croce elevata nel ’45 sulla sommità della metola da coloro che, strappati dai tedeschi alle loro case, tornarono sani e salvi ai loro affetti”. Così recita l’epigrafe presso la grande croce posta nel 2012 su un colle a est di Valdimonte. Quella precedente era stata innalzata, in religioso ringraziamento, dai sopravvissuti alla deportazione da parte dei tedeschi. Li avevano evacuati a forza più a nord, tra le Marche settentrionali e la Romagna, oltre le loro linee difensive appenniniche.
Nell’estate del 1944, lo sgombero dei civili da parte dei tedeschi non interessò solo questo lembo del territorio di San Giustino, ma anche un ampio tratto delle montagne dell’Appennino tosco-marchigiano nei comuni di Sansepolcro, Sestino e Badia Tedalda. Per non dire di Pieve Santo Stefano, che pagò il prezzo più alto.
Vividi ricordi di quella drammatica vicenda conservano Ines Burattini, all’epoca ventunenne, e due bambini di allora, Giulio Puletti e Teresa Landucci, che avevano rispettivamente 8 e 5 anni. Ines era figlia di un capo-cantoniere marchigiano trasferito a San Giustino. Quando si appressò il fronte bellico, la sua famiglia trovò rifugio a Palazzetto, nella “buca” tra Bocca Trabaria e Valdimonte. Su quei monti era un via vai di militari germanici. Ricorda Ines: “Un giorno arrivarono due tedeschi e videro mio fratello Paolo. Avevano paura dei partigiani: ‘Qui partigiani!?!’ Paolo gli fece vedere il permesso che aveva, infatti era studente a Castello. Ma loro non ci credettero. Uno era ubriaco, violento. Disse: ‘Tu kaput!’, e prese la rivoltella. Allora io lo agguanto da dietro e lui mi colpisce alla testa. Fortuna che l’altro tedesco, che non era ubriaco, prese le mie difese. I due restarono lì la notte. Noi si rimase chiusi in camera con le donne di Palazzetto. C’erano anche gli uomini quella sera, nascosti nella soffitta; scapparono di notte da una finestra”. Altri tedeschi di passaggio arrivarono di lì a poco: “Venne un ufficiale in gamba, parlava un po’ italiano, chiese acqua e disse: ‘Guerra finire presto, voi qui andare via, qui non buono…’ Noi non si capiva perché ci diceva di andare via”.
Anche a Valdimonte i tedeschi circolavano da un po’. In casa Landucci, famiglia di piccoli proprietari terrieri, alloggiavano i militari di un comando. Teresa conserva ricordi piacevoli di quei soldati: “Siccome mia mamma, Albina, di solito faceva barba e capelli agli uomini di casa, quando i tedeschi videro quegli strumenti pretesero che facesse da barbiere anche a loro. Ma ci volevano bene; a noi bambini davano caramelle. Dicevano: ‘Anche noi avere bambini a casa’”.
Poi la situazione cambiò. Giunsero ordini perentori di evacuare la popolazione da tutta quella vasta zona di montagna. I tedeschi volevano avere mano libera su un territorio di interesse strategico, a ridosso della loro Linea Gotica. Temevano gli atti di sabotaggio dei partigiani e sapevano che la gente rurale simpatizzava per loro. Quanto agli uomini in condizioni di poter lavorare, in molti casi li “schiavizzarono” per costruire le loro fortificazioni.
Ines così rievoca l’inizio della deportazione, il 12 agosto 1944: “Una notte sentimmo un gran chiasso, arrivarono dei soldati: ‘Cinque minuti, rauss!’. I tedeschi ci dissero di prendere la nostra roba. Noi si prese giusto dei vestiti, avvoltolati in fagottini. Poi a piedi, di notte, si partì per Bocca Trabaria. Ci aggregarono alla gente di Valdimonte, saremmo stati un centinaio. Con noi c’era un vecchio di 92 anni: per due volte scappò ai tedeschi, che per due volte lo andarono a riprendere. C’era anche il prete di Valdimonte, che era zoppo e ogni tanto si fermava. Anche una donna che aveva da poco partorito, con altri figli. Uno si addormentò in una sosta e lo perse; lei disperata si mise a urlare. Lo ritrovarono. Si era tutte donne e bambini, tranne il prete e il vecchio”.
Un anziano si oppose alla deportazione. Racconta Teresa: “I tedeschi lo ammazzarono col fucile vicino a un ponte perché si rifiutava di andare con loro e li aveva presi a male parole”. Si chiamava Ortensio Gabrielli; aveva 81 anni.
Quella povera gente dovette camminare tutta la notte, su fino a Bocca Trabaria e poi giù fino a Lamoli. Non ci furono riguardi nemmeno per il sacerdote zoppo, don Checco, e per l’anziano. A Lamoli il gruppo di deportati si frazionò. Le Burattini – mamma e due figlie – insieme ad altre due donne furono scelte per accudire la truppa. Dice Ines: “Si pelava di continuo le patate e si mangiava quello che i tedeschi cucinavano per loro: una broda, e del pane nero, duro, delle gallette. Robaccia da mangiare … Non si aveva paura dei tedeschi, l’ufficiale ci trattava come se la mia mamma fosse la sua: ‘Mamma, finita la guerra’”. Le cinque donne, con Ines, seguirono poi i tedeschi fino a Casa Barboni, in comune di Sestino.
Intanto quelli di Valdimonte erano stati trasferiti in camion verso la costa adriatica. Un nucleo numeroso si fermò a Gatteo a Monte. Giulio Puletti era con loro: “Ci hanno ospitati in stalle e scantinati, dove capitava. Noi figlioli ci si stava volentieri. Erano gli adulti che dovevano andar tutte le mattine a cercare da mangiare, chi il latte, chi il pane. Il rapporto con la gente del posto era cordiale, anche perché gli adulti di Valdimonte li aiutavano nei lavori”. Invece, nei ricordi di bambina di Teresa Landucci è rimasto impresso qualche diverbio: “Come profumava il pane appena uscito dal forno… Ci faceva gola. Se ne chiedeva anche per noi, ma non tutti quelli di Gatteo ci volevano bene: ‘Andate via, vagabondi, andate a lavorare’. E i miei rispondevano: ‘Ma sono i tedeschi che ci hanno portato qui…’”
Hanno lasciato una traccia indelebile in Teresa anche i lunghi giorni del passaggio del fronte a Gatteo a Monte: “Gli aerei volavano a bassa quota e sparavano ai tedeschi. La mamma diceva: ‘Signore salvaci, che siamo perduti’. Mio zio fu sorpreso da un mitragliamento aereo mentre tornava con un secchio di latte;  gettò subito via il latte e si coprì la testa con il secchio”. E ancora: “Si sentiva combattere intorno. Dopo la battaglia anch’io ho visto corpi di tedeschi sui campi”. Ricordi ben diversi quelli di un maschietto come Giulio: “S’era fióli… A noi fióli ci dava gusto guardare gli aerei che passavano e bombardavano”.
La forza d’urto delle truppe alleate costrinse i tedeschi ad abbandonare le loro posizioni difensive sull’Adriatico e la gente di Valdimonte si trovò finalmente libera. Di lì a poco Teresa si vide raggiungere dal padre: “Lui era rimasto nascosto a Valdimonte con altri due zii. Appena passato il fronte, era andato da una chiromante a Lama, che gli aveva detto: ‘La tua famiglia è a Gatteo, il paese è distrutto ma loro sono salvi’. La chiromante gli disse anche che con noi c’era un prete zoppo, don Checco. Era vero…”. Così Teresa si trovò davanti il padre, inaspettatamente, mentre ancora stava nascosta sotto uno scantinato.
A Casa Barboni, Ines, la sorella e la madre riuscirono a liberarsi dai tedeschi: “Trovammo rifugio in una casa dove abitavano due uomini, che lavoravano per i tedeschi, e una donna malata a una gamba. In quella casa ci nascondemmo dentro una stanza segreta, alla quale si accedeva dalla parte bassa di un armadio. Quella famiglia ci aveva nascosto le sue cose per non farle portar via dai tedeschi. Restammo chiuse lì dentro. C’era solo una finestrella. Ci portava da mangiare un bambino, forse il figlio di quella donna. Sentivamo che i tedeschi erano accampati lì fuori. Una notte ci fu un gran fracasso e capimmo che se n’erano andati. Così siamo uscite fuori”. Fu avventuroso anche il ritorno a casa: “Ripartimmo con un uomo di Lama, che era venuto fin lassù a ricercare il suo bestiame. Conosceva un passaggio sicuro attraverso il fronte, evitando i campi minati e i ponti distrutti. Aveva un mulo; ricordo che mia madre si attaccò alla sua coda, per la stanchezza”.
La gente di Valdimonte tornò così alle proprie case. Le trovarono intatte; ma dentro c’era rimasto ben poco. Le loro vite, però, erano salve.

 

Testimonianze di Ines Burattini (27 settembre 2017), di Teresa Landucci e Giulio Puletti (30 gennaio 2018) raccolte da Alvaro Tacchini. Articolo pubblicato ne “L’altrapagina”, febbraio 2018. Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.