Benni Mario. Partito Popolare, socialisti e squadrismo fascista

Mario Benni (1905-1987), noto commerciante di Città di Castello, ha vissuto in prima linea tutte le vicende del mondo cattolico, da un punto di vista associativo e politico, dal primo al secondo dopoguerra.

 

Il Partito Popolare Italiano e rivalità tra il vescovo Carlo Liviero e don Enrico Giovagnoli
Iscritto al PPI nel settembre del 1918. Avevo tredici anni quando venne fondato il PPI (Partito Popolare Italiano) ma cominciai presto a prendere parte agli incontri di partito. Mi entusiasmai subito per il movimento cattolico e fui testimone delle rivalità che vi erano. Da una parte Valori, Matteo Biagini, Trepiedi, Lensi e Don Giovagnoli, dall’altra parte Don Desiderà, segretario di Liviero, Gabriotti, Silvio Valori. Io mi schierai subito dalla parte di Gabriotti. I due schieramenti risentivano della rivalità tra Giovagnoli e Liviero.
Giovagnoli era presidente del Circolo Giovanile cattolico “Silvio Pellico” [in realtà “Gioventù Nova”], Liviero fondò in contrapposizione il Circolo “San Florido”. La sede del circolo di Giovagnoli era a casa sua, nel palazzo vicino a San Francesco; la sede del PPI era a Sant’Antonio.
Da un punto di vista squisitamente politico la contrapposizione non era grave, dal momento che le idee politiche erano molto simili. Ma si volevano sopravvaricare l’uno sull’altro: Giovagnoli voleva fare il contraltare a Liviero che, in quanto vescovo, aveva tutta l’intenzione di difendere la sua autorità. Gabriotti si schierò subito con Liviero e ne divenne il braccio destro, lui era la “longa manus” di Liviero nel PPI. Non eravamo molti ma un centinaio si era di sicuro. Il PPI era quindi il braccio politico del vescovo e Gabriotti la cinghia di trasmissione.
Venanzio Gabriotti
Come politico Gabriotti era un uomo di grande forza, un gran persuasore, non un gran parlatore, ma era battagliero e non mollava finché le sue idee non venivano accolte. Uomo di grande carità non aveva mai un soldo in tasca.
Non era filo-socialista [Gabriotti], era un cristiano. Stava al centro perfettamente.
Il risentimento che alcuni cattolici provavano verso Gabriotti durante il fascismo si originava dagli attriti che già esistevano nel mondo cattolico subito dopo la guerra.
Quando vi erano i raduni o le feste fasciste Gabriotti stava alla larga; lui non era solo stimato, ma ammirato dai fascisti: se solo lo avessero potuto avere con loro!
Primo maggio 1919, aggressione dei socialisti
Andai a San Secondo col tram di Campriani trainato da due cavalli – sei sedili -; venne con me anche Venanzio Gabriotti.
Al ritorno da Sansecondo ci aspettano i socialisti a San Paterniano. Erano armati di bastoni e ci dettero addosso. Abbandonammo il “tranve” per metterci in salvo, ed io e Giovanni Pannacci, padre dell’attuale sindaco, ci dirigemmo di corsa verso il Tevere. Trovammo un punto dove l’acqua era bassa e lo traversammo vestiti. Risalimmo poi lungo il “patollo” e quando arrivammo al ponte del Tevere trovammo un certo Cenciarini, che dette un cazzotto a Pannacci. Questo in risposta gli spaccò i denti. Poi ci rifugiammo da Don Gustinelli, l’allora assistente, e ci dette un po’ di conforto. Bevemmo un vinsantino. Pannacci dirigeva la nostra fanfara, suonava il cornetto che ancora tengo io.
Tensioni tra socialisti e cattolici.
Ci chiamavano “ceraioli” o “pipistrelli”. A noi giovani cattolici non era permesso di passare oltre il Caffè Severi, che era giù per il Corso, sennò i socialisti ci menavano. Il Caffè Severi era il loro ritrovo. Era dove ora si trova il negozio di Zucchini. Per non litigare con i socialisti si faceva “mezza vasca” e si tornava in Piazza. Non si poteva andare all’ospedale se non si aveva l’etichetta dei socialisti: ci comandava Cecchini, un massone, socialista.
La Pasquadel 1921, l’incursione degli squadristi fascisti
All’epoca dello scontro fra i due circoli cattolici i personalismi erano arrivati ad un punto tale che durante una discussione tra Gabriotti e Pieroni, sacrestano del Duomo, quest’ultimo tirò una cosa a Gabriotti. Io mi arrabbiai e imprecai che quella non era far politica e sbattei al muro Pieroni.
Poche ore prima dell’incursione fascista alla “Rivendicazione”, in piazza c’erano il povero Prosperi, Parreggiani, Beppe Torrioli. S’avvicinarono dei fascisti tra i quali quei delinquenti dei fratelli Vaccarecci che iniziarono a schernire Prosperi dandogli del “conte”. Poi schiaffeggiarono Prosperi e diedero una (pugnalata?) a Parreggiani sul braccio. Gabriotti andò là per soccorrere Parreggiani e si prese anche lui un colpo al braccio.
Questo poco prima dell’incursione fascista. Arrivarono da Porta Santa Maria. Uno di Coldipozzo saputo dell’arrivo di questo camion di fascisti con il centurione Agostini, gli andò dietro in bicicletta e quando questi scesero e cominciarono a sparare per il corso, tirò fuori il suo fucile e spaccò la testa a questo Agostini. In quel momento stava scendendo la gente dal cinema Iris. Gabriotti accorse per vedere cosa stava succedendo. Io ero a casa e da lì vidi il fumo sprigionarsi dalla sede della “Rivendicazione”.
Non appena Gabriotti venne a sapere dell’entrata della squadra di fascisti a Castello con intenzioni ostili, accorse prontamente per vedere cosa stava succedendo. Intanto i fascisti stavano incendiando “La Rivendicazione”, Gabriotti cercò di intervenire chiamando il maresciallo dei carabinieri Fausto Desideri che però in romanesco gli disse: “Lasci stare Gabriotti, è ora di finirla!”. I carabinieri infatti si ritirarono all’arrivo dei fascisti.
E così lui andò in vescovado. I fascisti erano di fuori, si aggregarono solo alcuni di Castello. Passarono per piazza di sopra sparando e ferirono il pasticcere che lavorava con Delfo Paoli. Uccisero in un orinatoio Baldacci, gli dissero di gridare “Viva il Duce!” – e lui invece – “Viva il Comunismo e l’Anarchia!”.
Squadrismo fascista alle elezioni del 1921
Durante le elezioni politiche del ’21 accadde un fatto buffo. […] mandò alcuni ragazzi a votare. Questi arrivati al seggio presero una scheda per ogni partito, come era caratteristica di allora, e dopo aver votato su una, le altre rimanevano all’interno della cabina. I fascisti andarono con la prepotenza a vedere dentro le cabine e quando si accorsero che lì rimanevano solo le loro e non quelle del PPI avvertirono Casini, che chiamò Benni e gli altri al seggio della Baucca. Gli disse: “Voialtri se fra cinque minuti non ve ne andate c’è questo!”-mostrando un fiasco in cui c’era dell’olio di ricino e dandogliene una sgonzata in bocca proprio a Benni. Allora andarono su alla parrocchia distante circa un mezzo chilometro, e telefonarono usando quella che era la parola d’ordine “Le castagne sono bruciate”, per avvertire gli altri che non potevano più restare nel seggio per via dei fascisti, e dovevano quindi scappare. (Quando invece potevano ancora rimanere a lavorare al seggio usavano dire “Le castagne sono cotte”). E fu proprio Venanzio che allora era segretario politico a rispondere al telefono e dopo aver sentito la parola d’ordine rispose: “Purtroppo le castagne sono bruciate in molte parti, tornate a casa!” ed essi tornarono a casa.
Scioglimento del Partito Popolare
Dopo lo scioglimento nazionale del PPI, facemmo la stessa cosa a Castello, in una riunione. Continuarono a inviarci alcune lettere poi più niente. Quello che ha salvato l’Italia è stata l’Azione Cattolica. Perché è vero che nelle nostre riunioni e nelle sagrestie si facevano attività religiose, ma si parlava anche di politica e di antifascismo.
Il comitato clandestino di soccorso
Il professor Giuseppe Segreto, quando c’erano i partigiani, veniva a prelevare dal mio negozio delle provviste e le portava in una casa diroccata vicino al convento degli Zoccolanti. Da lì Gabriotti portava il tutto ai partigiani; non è vero che ci è andato solo due volte. È uno sbaglio. Non passava settimana che non andasse su. Segreto si dava molto da fare per raccogliere le provviste per i partigiani, e anche don Vincenzo Pieggi: lui è stato un vero eroe, con la sua veste talare copriva il movimento antifascista.
La rifondazione della Democrazia Cristiana avvenne in questa casa giù di sotto.

 

Testimonianza accolta da Alvaro Tacchini nel 1993.Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.