Appena ventitreenne, quindi, Arcaleni già mostrava una spiccata personalità ed quell’eclettismo che gli avrebbero permesso in poco tempo di prendere in mano le redini, in ambito tifernate, sia della musica sacra che della profana. Intanto coronava il suo sogno d’amore, sposando la cugina Annita. Era figlia di Felice, uno dei fratelli di Arcasio, padre del “Maestrino”. Anche questo ramo degli Arcaleni, detti “di sopra” (la famiglia di Arcasio era “di sotto”, forse perché abitava nel quartiere del Prato), fu alquanto prolifico. Annita ebbe diversi fratelli. Fu soprattutto con Luigi, arrotino, e con i suoi figli Felice e Boheme, tutti musicisti, che Roberto avrebbe condiviso momenti significativi.
Nel maggio del 1910, la nuova amministrazione comunale radical-socialista gli affidò la Banda Municipale, ricostituita dopo una delle sue periodiche crisi. Il 4 giugno esordì in “piazza di sopra” come direttore. Non dovette trattarsi di un’esperienza tranquilla; c’era infatti chi osteggiava il progetto del sindaco di rimettere in piedi la Banda e tramò a lungo, però vanamente, per dar vita ad una formazione alternativa. Di lì a pochi mesi fu chiamato anche all’insegnamento del solfeggio agli allievi della scuola comunale di strumenti ad arco. Seguì però una prolungata fase di torpore nella vita culturale cittadina, senza i consueti spettacoli di rilievo al Teatro degli Illuminati (si scrisse che era diventato “regno dei topi”) e con l’Accademia Filodrammatica spesso inattiva. Fra tanta apatia, la Banda e la scuola comunale mantennero comunque viva la fiaccola dell’associazionismo musicale, in fiduciosa attesa di tempi migliori.
L’estratto manca delle note presenti nel testo Roberto Arcaleni “il Maestrino” (Scuola Grafica dell’IPSIA, 1995).