Mentre dall’altra parte del Tevere la 4a divisione indiana combatteva tra il Nestoro e Canoscio, la 10a procedeva parallelamente a est del fiume lungo due direttrici: una più a valle, da Coldipozzo a Santa Lucia, con i punjabi e il Royal King’s Own della 25a brigata, supportati dai mezzi corazzati del 3° Hussars; l’altra più montana, da Monte Falcone in direzione di Monte delle Gorgacce, con i maratha e i gurkha della 20a brigata e i garhwali della 25a. Questo impervio territorio impegnò a fondo i genieri nella costruzione di vie per muli e per jeep a supporto dell’avanzata.
I maratha della 20a brigata si mossero da Monte Cucco di Montone l’8 luglio di primo mattino e, percorrendo la via di crinale, piombarono sui tedeschi a Monte Falcone quando ancora era buio. L’impatto con i soldati del 741° reggimento Jäger avvenne al chiaro di luna: “Ci fu un pandemonio, tra grida, mortai da due pollici, granate, Bren, spandau, fucili. Poi anche il fuoco difensivo tedesco accrebbe lo strepito della battaglia. Fortunatamente molti dei loro proiettili colpirono il sentiero dove i maratha erano già passati”. Poi i soldati indiani attaccarono alla baionetta: “Si sentivano grida di battaglia dei maratha e urla dei tedeschi che scappavano in tutte le direzioni”. Sulle postazioni germaniche s’abbatté anche il fuoco delle mitragliatrici pesanti dei Northumberland Fusiliers. Alle 7 del mattino Monte Falcone era in mano anglo-indiana.
Sullo slancio i maratha conquistarono Monte Gengarella, cogliendo di sorpresa diversi tedeschi nelle loro trincee o nascosti dietro a cespugli e costringendo gli altri alla fuga. Di lì a poco gli indiani occuparono senza alcuna opposizione anche Morlupo. A quel punto gli attaccanti decisero di consolidare le posizioni: le truppe erano stanche per i combattimenti e per le ripide arrampicate alle quali erano state costrette.
L’indomani, 9 luglio, mentre l’artiglieria britannica martellava le postazioni tedesche poste più a nord, i maratha procedettero verso Monte Marucchino. Lo scontro col nemico fu innescato da un episodio fortuito. Il reparto indiano si accorse della presenza di soldati tedeschi solo quando un contadino del posto condusse il bestiame presso il molino sul torrente Lana per farlo abbeverare. A quel punto una ventina di tedeschi uscirono allo scoperto dall’edificio e iniziò la sparatoria. Ben arroccati in alcune case coloniche in alto, i soldati della Jäger tennero inchiodati i maratha fino a sera. Durante la notte dal 9 al 10 luglio, l’attacco a Monte Marucchino fu continuato dai gurkha, mentre l’intenso lavoro dei genieri rendeva agibili alle jeep strade e sentieri rurali per far affluire rifornimenti, fino ad allora trasportati prevalentemente sul dorso di muli. I gurkha riuscirono a conquistare la sommità del monte, risalendo il suo fianco orientale, poco oltre le ore 7 del 10 luglio. Esistevano dunque i presupposti per pianificare l’assalto a Monte delle Gorgacce, l’ultima roccaforte tedesca a est del Tevere prima di Città di Castello.
Intanto si era dispiegato un contrattacco germanico sulle posizioni tenute dai maratha a Morlupo. Le mitragliatrici tedesche uccisero 7 nemici, tra cui un comandante di compagnia. Fu in quella circostanze che rifulse il valore di un caporale maratha di 23 anni, Yeshwant Ghadge, insignito della massima onorificenza, la Victoria Cross, per il supremo valor militare che gli costò la vita. Dopo aver visto cadere i commilitoni, resosi conto di essere rimasto l’unico illeso, Ghadge si scagliò contro la postazione nemica. Così è stata tramandata la sua drammatica morte: “Lanciò una granata che mise fuori uso la mitragliatrice e colpì con il suo Tommy gun un tedesco. Non avendo tempo per ricaricare, impugnò il mitra per la canna e percosse l’altro tedesco della postazione fino ad ucciderlo. Sfortunatamente fu centrato in pieno petto dai cecchini tedeschi e morì sul posto che aveva conquistato con tanto coraggio”. Una recente ricerca di archivio ha appurato che il corpo di Ghadge, insieme a quelli di altri 10 soldati maratha uccisi in combattimento nella stessa zona, finora ritenuti dispersi, è stato recuperato il 25 ottobre 1945 e cremato ad Arezzo.
Già in quei primi giorni i combattimenti nell’Alta Valle del Tevere, per l’asperità del terreno, assunsero spesso l’aspetto di guerriglia e avvennero prevalentemente di notte. Solo così le truppe indiane riuscivano a compensare i vantaggi difensivi che la natura dava ai tedeschi. Costoro sarebbero arrivati a capire, in seguito a ripetute drammatiche esperienze, che restare rintanati nelle trincee o nelle strette buche scavate per proteggersi dalla pioggia di granate d’artiglieria li rendeva facili prede dei soldati indiani, abilissimi nel piombar loro addosso di notte e silenziosamente.
Per il testo integrale con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.