Di lì a poco, alla fine di febbraio 1929, è da Balilla che Angelo vive l’esaltazione pubblica per il Concordato tra Stato e Chiesa: “Per tutta la città ci sono state grandi feste per dimostrare la gioia dei cittadini e tutti hanno gridato con spontanea gioia: Viva il Papa, viva Mussolini!” Agli occhi di Angelo, la figura del capo del fascismo viene ulteriormente ingigantita: “Il Duce, anima della conciliazione, aveva capito che il Papato per l’Italia era un vanto e che il Papa non doveva stare sotto alcun dominio”. Le semplici parole del giovane Balilla fanno capire il clima che si respirò all’epoca nelle famiglie cattoliche. E la famiglia Gambuli era convintamente cattolica.
Il cattolicesimo tifernate, guidato dall’energico vescovo Carlo Liviero, aveva vissuto in modo problematico l’ascesa del fascismo a Città di Castello. Per carattere e convinzioni ideali, Liviero si era dimostrato sin dal suo arrivo nel 1910 assai geloso dell’autonomia della Chiesa e refrattario a convivenze con il potere locale. Prima della Grande Guerra, aveva combattuto aspramente socialisti e massoni, così come le spinte troppo innovative nel seno del suo clero. Dopo il conflitto, pur evitando di esporsi personalmente nelle diatribe politiche, aveva sostenuto – sempre in funzione prevalentemente antisocialista – il sindacalismo cattolico e il Partito Popolare, trovando in Venanzio Gabriotti il suo “braccio secolare”. Eroe di guerra, dotato di grande carisma, attivissimo in campo sociale e battagliero quanto il suo vescovo, Gabriotti si era da subito schierato contro il fascismo. Per i molteplici incarichi – era pure amministratore dei beni ecclesiastici – e per il prestigio di cui godeva ben oltre l’ambito cittadino, non poteva non operare in piena sintonia con Liviero. Il vescovo lo difese in modo netto quando i fascisti cominciarono a perseguitarlo. Nel contempo la Chiesa tifernate esprimeva pure il dotto e influente sacerdote Enrico Giovagnoli. Figura di rilievo anche come imprenditore tipografico ed editore, aveva alle spalle un’esperienza sacerdotale giovanile per la quale era stato tacciato di modernismo; poi aveva assunto posizioni fortemente interventiste durante la Grande Guerra e, subito dopo, aveva contribuito alla fondazione del Partito Popolare. Quindi si era progressivamente avvicinato al fascismo, tanto da accettare, nel 1924, la tessera ad honorem offertagli dal Fascio di Città di Castello.
La dialettica interna alla Chiesa in quei primi anni ’30 fu certamente un tema molto dibattuto nelle famiglie cattoliche. Amerigo Gambuli, amico di Gabriotti, aveva partecipato alla fondazione del Partito Popolare ed era stato eletto nelle sue liste consigliere comunale nelle amministrative dell’ottobre 1920. Fu però anche lui costretto ad “adattarsi” al fascismo quando fu chiaro che aveva ormai saldamente in pugno la situazione. Lo fece per non avere noie, sia perché dirigeva la locale Esattoria, sia per la problematica situazione di famiglia, con la moglie seriamente malata. Prese la tessera del Partito Nazionale Fascista nel marzo 1924. Non a caso in quel periodo in cui il PNF riaprì le iscrizioni, tra i primi 80 che chiesero la tessera figuravano – oltre a 20 possidenti, il ceto sociale che sin dall’inizio favorì il fascismo a difesa dei suoi interessi economici – 25 impiegati e dipendenti pubblici. Insieme alla seconda moglie, Giannina Meoni, Amerigo Gambuli si mantenne vicino al vescovo Liviero e sostenne concretamente l’operato di Gabriotti, attivissimo nel campo dell’assistenza sociale; nel contempo continuò a frequentare don Enrico Giovagnoli, per la cui tipografia – la “Leonardo da Vinci” – Giannina curava le relazioni editoriali.
Il Concordato del 1929 segnò in modo indelebile i rapporti tra regime fascista e Chiesa. Tanti ecclesiastici avrebbero visto in Mussolini l’“uomo della Provvidenza”, lo statista capace di riconoscere il cattolicesimo religione dello Stato e di istituzionalizzare l’operato del clero negli enti assistenziali ed educativi, nell’ONB e nelle forze armate. Il consenso verso il Duce e il fascismo fu solo incrinato nel 1931, quando il regime tentò di sopprimere l’Azione Cattolica. La crisi si risolse con un compromesso, dopo che lo squadrismo fascista aveva colpito i sacerdoti Giovan Battista Battilani e Luigi Consolini e fatto infuriare il vescovo Liviero: l’attività dell’Azione Cattolica fu autorizzata, limitandola però al solo ambito religioso.
La crescita dei giovani continuò quindi in un contesto senza contrasti e il regime poté rafforzare la sua opera di indottrinamento e inquadramento delle nuove leve. Nel 1930 Angelo Gambuli frequentava la terza ginnasiale e passava da Balilla ad Avanguardista. Negli scritti dei primi anni ’30 non tocca argomenti di carattere politico, né parla della sua attività nell’ONB.
Nel marzo 1934 regala al padre, insieme a una fotografia in divisa da Avanguardista, un suo scritto su Roma, che ha appena visitato per la prima volta con una gita per l’Anno Santo. Resta affascinato dalla città e così commenta l’imponenza di Via dei Fori Imperiali: “Certo questa strada, che si percorre con un vero senso di rispetto e di commozione, era necessaria per la Roma nuova che il Duce vuole che proceda sulle orme dell’antica; era necessaria come un incitamento alle nuove e più grandi imprese che romanamente il fascismo si accinge a compiere”.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.