Facondo Andreoli in Africa Orientale,
Andreoli (il primo da sinistra) nel campo di concentramento tedesco per ufficiali italiani.
Il volume di Andreoli che racconta la sua prigionia sotto i tedeschi.

Andreoli Facondo. Dal fascismo al Movimento Sociale Italiano

Facondo Andreoli (1914-1999) era figlio di un cappellaio di Cagli, trapiantatosi a Castello nel 1909. Partecipò alle vicende del Fascio giovanile a Città di Castello e fu tra i fondatori, nel dopoguerra, del Movimento Sociale Italiano, che rappresentò a lungo nel consiglio comunale tifernate.

Le due anime del fascismo
Il fascismo si è sempre portato dietro due piedi, una scarpetta di copale ed uno scarpone da proletario. Ci sono sempre state queste due componenti: una conservatrice agraria, reazionaria, ed una componente sociale che da Fiume, con D’Annunzio e la carta del Carnaro, stava dietro alle richieste di cambiamento radicale della società. Ma la lotta fra le due componenti ebbe fine con il 1925-1925. Quand’ero giovane fascista non se ne parlava più.
Le iscrizioni al Partito Nazionale Fascista e l’“ondata della merda”
Èvero che poi tutti si sono dichiarati squadristi. Il Fascio è rimasto una specie di clan chiuso fino al 1933. Ritenendo ormai di aver raggiunto un sufficiente grado di consenso, nel 1933 decise di aprire le porte a quanti lo volessero: fu “l’ondata della merda”.
Con l’entrata in massa del 1933 i vecchi fascisti pretesero un riconoscimento che li differenziasse dagli ultimi arrivati; di qui la richiesta di riconoscimento di squadrista, di “brevetto marcia su Roma”, ecc. Vi fu certamente un certo opportunismo che ricorda quello del dopoguerra, quando tutti volevano essere riconosciuti come partigiani.
Valutazioni su alcuni dirigenti del PNF
Tellarini Mario.Assomigliava a qualche politico di oggi, che sa comportarsi in maniera educata con tutti, anche con gli avversari; un abile mediatore, rispettato da tutti, gentile, bonario, forse anche fermo nelle sue decisioni. Ebbe anche qualche chance di diventare segretario federale per i meriti acquisiti a Città di Castello, ma per le solite camorrette contro di noi altotiberini non ci riuscì. Sono sempre esistite queste questioni topografiche, noi siamo umbri atipici, con un piede in Toscana e Romagna; anche durante il fascismo venivamo considerati marginali, di confine, anche come carattere. Tellarini era un piccolo De Gasperi del fascismo locale, con grande capacità di coinvolgimento; sapeva destreggiarsi con diplomazia anche nel mondo non fanaticamente fascista. Ideologicamente cercava di stare in mezzo, ma se pendeva da una parte, pendeva verso il lato meno sociale, per così dire.
Desideri Fausto.Maresciallo dei carabinieri in pensione. Si trattava dell’utilizzazione a livello dirigenziale di un militare in pensione. Prima della guerra era il dirigente dell’Ente Opere Assistenziali, un’istituzione fascista che coordinava l’assistenza. Doveva sopperire alle necessità materiali degli indigenti; organizzava anche le colonie estive, istituite dal fascismo. A Desideri volevano tutti bene proprio perché aveva assistito tanti che poi diventarono partigiani.
Serafini Ivo.Aveva un carattere particolare. Si dimise per contrasti caratteriali. Serafini era caratterialmente il contrario di Tellarini, mediava poco.
Riccardini Michelangelo. Impiegato della Cassa di Risparmio con funzioni dirigenziali, ex ufficiale dell’aeronautica, persona conosciuta e stimata; un altro ex militare coinvolto per il suo prestigio dal PNF, ma non si può considerare un fascista accanito.
Il Direttorio del PNF
Era un organismo poco importante, convocato per consultazione dal segretario quando voleva. Il potere era detenuto dal segretario.
L’Opera Nazionale Balilla, la Gioventù Italiana del Littorio e i loro dirigenti
Localmente l’ONB si identificava in Gaetano Bani. Rra un uomo di scuola ed un ottimo educatore. Nutriva grande affetto versi i suoi studenti, che non si esprimeva soltanto a scuola, ma si manifestava anche in quella specie di doposcuola che era allora l’ONB. Le manifestazioni dell’ONB erano in parte sportive, in parte etico-sociali. Il 21 aprile ad esempio, quasi ambientalismo ante litteram, vi era la festa degli alberi: l’ONB mobilitava tutti i suoi ragazzi in una scampagnata con il compito di piantare ciascuno un albero. Frutto di questa politica fu la riforestazione dello Scopetone; nel 1930 era brullo come un deserto africano.
L’ONB provvedeva anche ad una specie di doposcuola. La sede era di fronte al n. 27 di via San Florido, c’era anche una specie di giardino pensile. L’ONB rimase sempre lì. Il Fascio giovanile invece andò poi a finire nei locali dell’attuale Associazione Combattenti in via Marconi, e poi nell’attuale sede della Galleria dell’Arte.
Il fascismo aveva inoltre il pregio di far partecipare i giovani alle manifestazioni patriottiche; oggi il IV novembre passa quasi inosservato. Inevitabilmente il prof. Bani portava la sua esperienza di preside nel dirigere l’ONB, e l’aspetto scolastico contava molto. Bani era severo ma fino ad un certo punto; la richiesta di disciplina era generalizzata nel mondo fascista, non dipendeva da lui. Quanto alla disciplina ritengo che l’ambiente dell’ONB sia stato più severo e disciplinato di quello della GIL, dove la presenza di un certo numero di giovani non studenti aveva portato ad un certo sfilacciamento della disciplina.
L’altro dirigente, Mario Balestra, si identificava con la Paterna Domus, di cui era direttore. I giovani della colonia partecipavano sempre in perfetta divisa alle manifestazioni dell’ONB. Balestra era un personaggio molto meno pubblico di Bani.
Nella Gioventù Italiana del Littorio comandava Alcide Sbrocchi, un ex ufficiale effettivo in pensione. Noi giovani fascisti avevamo l’idea che i veri fascisti fossero solo coloro che andavano a combattere volontari in Africa Orientale, in Spagna e nella seconda guerra mondiale. Mancando noi – si trattava ovviamente di posizioni giovanilistiche, esagerate – il Fascio doveva andare a riesumare altre figure, come appunto Sbrocchi, per tamponare le lacune dirigenziali. Niente di male se andavano a pescare questi elementi tra i vecchi ufficiali di carriera, adattissimi a questi compiti e non più richiamabili alle armi. Sbrocchi era un altro bonario fascista. Il fascismo squadristico è durato pochi anni; dopo è diventato sotto certi aspetti una specie di tran tran educativo, bonario, con elementi che non avevano più niente dello squadrista truce dei primi tempi, sempre che ci siano stati.
L’Africa Orientale Italiana
Ero universitario a Perugia con Alberto Burri ed altri quando iniziò la guerra in Africa. Facevamo la bella vita in pensione, la porta era aperta giorno e notte. Tanta goliardia, anche donne. Facemmo subito domanda per partire; si mescolavano fattori ideologici ed entusiasmo giovanile: chi ci pensava a prendere la laurea… Eravamo degli entusiasti. L’Abissinia nella nostra mente significava una guerra persa ed un onore da ripristinare. E poi l’Africa ci attraeva, non pensavamo che avrebbe significato tanti sacrifici: guerra vera, atrocità da parte dei locali tra di loro… (omissis). Quando partimmo noi eravamo i soli castellani, tanto è vero che dovemmo aggregarci con una compagnia di Torino e rimanemmo sempre con loro. Solo in Africa avemmo occasione di incontrarci con la “23 marzo”.
Rinnovamento del PNF nel 1937. Ricordi sportivi
Vi fu un generale coinvolgimento di noi reduci d’Africa, un ricambio ed una valorizzazione che andò avanti a livello generale. Io divenni comandante del Fascio giovanile, con alle mie dipendenze gli ufficiali Stelio Pierangeli, Carlo Ortalli, Pasquale Rossi. Rimasi attivo, per così dire, fino al 1938, quando mi dovetti assorbire nello studio per laurearmi e detti 11 esami in un anno. Fu allora che venne introdotto l’appello di febbraio, per dare la possibilità a noi reduci d’Africa di recuperare negli studi. Una volta laureato entrai come ispettore all’Ufficio Provinciale delle Corporazioni, ma vi stetti poco, perché partii volontario per la guerra e non ritornai che nell’autunno del 1944.
Del periodo 1937-1938 ho più che altro ricordi sportivi: siccome giocavo nella “Tiferno”, mi detti da fare per formare una squadra di calcio del Fascio Giovanile. Di attività politica se ne faceva poca, comandava solo in segretario del Fascio, gli altri incarichi erano chi più chi meno formali. Noi giovani fascisti eravamo degli esecutori, partecipavamo alle manifestazioni, ma niente di più.
Io dai 16 ai 20 anni ho giocato al pallone a livello quasi professionale, quindi seppellivo molto questo mio interesse in altre attività fra cui quella politica. La vita pubblica la facevano i grandi, il solito gruppetto.
L’Operazione Militare in Spagna
Una sera ci fu una specie di conferenza e di comizio al cinema Eden da parte del partito per mobilitare i giovani. Io non parlai, altrimenti mi avrebbero fatto partire.
I littoriali
Furono una palestra nella quale alcune di queste opinioni non ortodosse cominciarono ad essere espresse. Se non ci fosse stata la guerra, il fascismo sarebbe stato mutato da tali fermenti giovanili. Da questa radice è fiorita la Repubblica Sociale Italiana.
Limiti del fascismo e fermenti di rinnovamento
Un limite è stato la troppa cura dell’esteriorità e della liturgia, della forma invece che della sostanza. Noi giovani davamo la colpa al segretario politico Starace. Esagerata spettacolarità; la sostanza non poteva corrispondere alla forma. Soprattutto gli intellettuali del GUF esprimevano il loro disagio. Nel giugno del 1940, scoppiata la guerra, si stavano discutendo proprio queste critiche, ma si ragionava sempre nell’ambito del regime, volevamo “fascistizzare” il fascismo. Vi furono riunioni a Perugia per decidere sul da farsi tra fascisti entusiasti ed altri giovani che del fascismo non ne volevano sapere. Poi prevalse la nostra tesi che, siccome era scoppiata la guerra, si trattava di fare il proprio dovere di soldati, ma al ritorno si sarebbero riposte le questioni e qualcosa avrebbe dovuto essere cambiata.
Valutazioni sul fascismo
Nessuno si è arricchito per il fascismo a Castello. Se i fascisti avessero avuto le mandibole degli attuali politicanti…
Visto dall’alto il fascismo appariva una dittatura. Dal basso vi era una certa garanzia di ordine, una acquiescenza a tale situazione, anche perché non è che vi fosse molto disordine e molta fame. E poi l’assistenza sociale…
Oltre alle associazioni del regime che sapevano incanalare il consenso, il cittadino ordinario non aveva tanti impedimenti di più; anzi, il regime predisponeva delle infrastrutture di appoggio e di  conforto non indifferenti. La stessa Battaglia del Grano ha dato un senso di rispetto e di dignità ai contadini; comunque è vero che il fascismo non fece molte concessioni in materia di contratti agrari.
Epurazione contro i fascisti
È vero che vi è stata una certa tolleranza. Prese un paio di ceffoni il capitano Pietro Gambuli… Lavorava alla Cassa di Risparmio.
Gli antifascisti
Soprattutto gravitavano intorno al vescovo, come Venanzio Gabriotti. Poi Giulio Pierangeli, che manteneva legami professionali con Comune e Fascio, ma si sapeva di idee antifasciste; e qualche artigiano (Antoniucci, Marinelli) senza grande peso culturale.
La guerra e il disarmo da parte dei tedeschi
Nel 1943 ero in Montenegro. Badoglio ci lasciò senza disposizioni. Ero aiutante maggiore di battaglione. I musulmani sparavano ai cristiani. Alcuni di noi passarono coi tedeschi e sparavano ai partigiani. Le città saltavano in aria, interi depositi di munizioni. Eravamo incerti, avevamo viveri per una decina di giorni. I tedeschi ci bersagliavano di volantini. Ci offrivano di consegnar loro le armi pesanti, così che avremmo potuto tenere quelle leggere e ci avrebbero riportato in Italia. Poi avremmo deciso cosa fare. Accettammo. Ma i tedeschi avevano il solo scopo di disarmarci. Ci disarmarono del tutto in un cortile, puntandoci i mitra.
Adesione alla Repubblica Sociale Italiana
Fino ad allora mi allettava l’idea di tornare in Italia e decidere lì il da farsi. Solo nel febbraio 1945, a suon di digiunare, mi passò l’incertezza e aderii alla RSI. Fui in servizio platonico in Polonia, poi a Norimberga. Eravamo di fatto prigionieri per tutta la settimana, poi la domenica ci portavano a passeggiare in campagna. Ebbi una licenza di 15 giorni nel giugno 1944 per raggiungere i miei. Erano a Vallurbana. Capitai proprio durante il passaggio del fronte. Gli inglesi erano a Santa Lucia.
La fondazione del Movimento Sociale Italiano
Fui uno dei fondatori del MSI nel 1947, a livello nazionale. Rimasi membro del comitato centrale per 20 anni. Prima eravamo un movimento. Al primo congresso di Napoli eravamo in 90, cinque dei quali umbri; era il febbraio 1947. Ricordo le discussioni per il simbolo da adottare; parte di noi mise in discussione la piattaforma trapezoidale, chi la voleva nera, chi rossa. Anche l’aggettivo “sociale” fu soggetto a discussione. Buona parte dei presenti provenivano dal reducismo della RSI. Allora ero ancora procuratore legale, non ancora avvocato.
Il comizio di Almirante, segretario del MSI, a Città di Castello
In quell’epoca tanta era la tensione. Ad ogni nostra manifestazione le sinistre organizzavano una contromanifestazione. A Castello doveva tenersi un semplice discorso di Almirante. Mi arrivò un portacenere sulla testa, da Beccafichi. Poi pranzammo all’Europa. Ci dissero che al Bar Tre Bis facevano a botte. Andai a vedere. Si azzuffavano 6 o 7 missini di Terni con 4 o 5 castellani tra cui il mio cliente Picchi. Quando tre dei ternani aggredirono Marinelli, mi misi in mezzo e dissi: “Fermi tutti, questi sono amici miei”. Avevo un impermeabile bianco. Un ternano da dietro colpì con un bastone il più alto dei castellani. Uscì del sangue dalla sua testa e sgorgò sul mio impermeabile. Disgrazia volle che l’indomani ci fosse il consiglio comunale. Giuseppe Pannacci mi disse: “Dove ha messo il suo permeabile insanguinato?” E io: “È in lavanderia”. Fui sottoposto ad un linciaggio morale, ma c’ero abituato. Ho fatto comizi in tutta Italia per 20 anni. A Pescara nel 1969 Rossana Rossanda guidò dei teppisti che mi tirarono pietre.

Testimonianze raccolte il 6 novembre 1989 e nell’aprile 1994. Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.