Umbertidese di nascita, Alunni Pierucci (1902-1985) è stato un importante sindacalista, uomo politico e amministratore. Dopo gli anni dell’esilio e del confino in epoca fascista, diresse a livello nazionale i sindacati dei mezzadri e delle tabacchine. Fu senatore del Partito Comunista Italiano dal 1948 al 1953 e sindaco di Città di Castello dal 1952 al 1958.
Squadrismo fascista a Perugia nel marzo 1921
L’aggressione fascista nella nostra provincia si è realizzata in maniera repentina e brutale.
C’erano all’interno del movimento fascista due posizioni ben distinte che potremmo definire falchi e colombe. Una parte era temporeggiatrice, dicevano di non fare nessuna azione che potesse provocare la reazione della classe lavoratrice; poi c’era una parte più violenta che non voleva aspettare, più estremista. E questa fazione venne allo scoperto il 21 marzo 1921 qui a Perugia e si trattò di una provocazione studiata, messa in opera dalla parte estremista dei fascisti.
La provocazione fu preparata scientificamente. Verso le otto di sera furono mandati fuori dei ragazzi aderenti al Fascio per andare a provocare un fattaccio di cui avevano bisogno. Due giovani liceali andarono qui al Turreno, covo dell’antifascismo perugino, il caffè dei progressisti. Provocato, uno dei due giovani estrasse, più per una bravata che per altro, una rivoltella. Intervennero i giovani fascisti che nel tentativo di disarmarlo fecero esplodere un colpo, che si conficcò nel basso ventre del giovane. Il fatto che l’incidente fosse preparato, anche se non proprio con quella dinamica, è dimostrato dal fatto che i fascisti della sede di via Mazzini erano preparati ad intervenire. Una trentina di essi corrono al Turreno e l’incendiano portandosi dietro lattine di benzina, poi si recano alla sede dove stampava La Battaglia e dettero fuoco alla tipografia.
Essendo un gruppo molto ristretto e non potendo contare sulla collaborazione della popolazione, dovettero chiedere aiuto immediatamente alla “Disperata” di Firenze, rinomata per le sue gesta sanguinarie. L’indomani 250 fascisti fiorentini, armati fino ai denti, con bombe a mano, pistole, manganelli, moschetti, vennero a Perugia. Approfittando poi dell’elemento sorpresa e della presenza di questi fascisti di fuori si indirizzarono anche verso altre zone della provincia. I fascisti umbri senza l’aiuto dei forestieri non sarebbero mai riusciti nel loro intento. La presenza del partito socialista (perché il PCI era presente ancora soltanto in circoli giovanili) l’avrebbe impedito. Comunque è mancata la dovuta resistenza da parte del PSI. Infatti a Terni, dove questa resistenza c’è stata, il fascismo è passato solo una decina di giorni prima della marcia su Roma. Le precedenti manifestazioni fasciste lì erano state rintuzzate.
Gli Arditi del Popolo a Umbertide
Noi giovani, ad esempio ad Umbertide, avevamo organizzato gruppi di Arditi del Popolo, e dove esistevano questi gruppi i fascisti non osavano troppo. Sempre ad Umbertide dovettero, i fascisti, penetrare di sorpresa alla sera e si limitarono a gesti vandalici. Noi giovani criticavamo la non reazione opposta dalle organizzazioni politiche e sindacali. Non ci volevano manifestazioni simboliche di protesta, ma una reazione robusta, efficace. Che il fascismo poteva essere controbattuto era dimostrato dalla loro necessità di utilizzare fascisti di fuori. Ad Umbertide tennero per diversi mesi tre sicari provenienti dal modenese.
Persecuzione fascista e fuga
Io dirigevo la Camera del Lavoro al posto di Clotide Rometti che era stato arrestato. Avevo 19 anni. Anch’io nella mia pur modesta militanza ero preso di mira a dovetti scappare. I primi tempi avevo dei parenti contadini e sono andato da loro. Poi mi hanno scoperto, una sera hanno circondato il podere: “Fuori il bolscevico!” I miei cugini si armarono delle proprie doppiette ed erano pronti a far fuoco contro i fascisti. Dissi: “Siete matti!” Ce n’erano una diecina fuori, e armati. Nonostante l’opposizione dei cugini scappai dalla cascina proprio mentre i fascisti stavano entrando. Fui colpito con un nerbo e un manganello ma riuscii a scappare verso il fiume,ma sarebbe meglio dire il fosso. Era in piena però. È proprio vero che la paura fa “novanta”: magro e svelto com’ero saltai sull’altra sponda. Gli inseguitori non osarono fare tanto e me la cavai, ma mi portai dietro una pleurite in seguito a quell’esperienza.
Altre due volte sfuggii ai fascisti ma poi compresi che non c’era niente da fare.
Emigrazione in Francia, attività politica in esilio
Approfittai del fatto che avevo dei parenti a Nizza e mi ci trasferii. Là incontrai Ezio Carleschi e Luigi Crocioni. Crocioni mi era già noto perché aveva una militanza socialista alle spalle. I due erano in società e offrirono del lavoro. Ero imbianchino, con me ci lavorò per sei mesi, nel 1927-’28 anche Sandro Pertini.
Trovammo abbastanza solidarietà come esuli. Molti altotiberini già risiedevano là, ma vi era una marcata discriminazionecontro i comunisti da parte della polizia; verso i socialisti erano molto più tolleranti. Noi comunisti eravamo seguiti e talvolta perseguitati; non ti lasciavano fare: liberi sì ma non di fare politica. Il consolato di Nizza era un covo di spie fasciste. Quando mi presero e mi portarono in Italia la questura di Perugia era informatissima sulla mia vita in Francia.
C’erano anche infiltrati. Noi potevamo fare solo attività prettamente antifascista e antiregime. Fino al 1930 le forze antifasciste all’estero non erano ancora aumentate. Noi giovani comunisti italiani eravamo membri della sezione di lingua italiana del PCF; con i socialisti non c’erano ancora buoni rapporti: si pagavano le conseguenze della scissione di Livorno, diffidenza polemica astiosa. Dal 1930 in poi si è cominciata a ricercare l’unità, e la trovammo nell’Unione Italiana, con un suo giornale e un suo programma antifascista, assistenza per gli esuli.
Di Castello in Francia non trovai alcun attivista comunista anche perché la scissione comunista non aveva riscosso grande seguito a Castello.
Il confino
Allo scoppio della guerra noi comunisti fummo tutti presi: io fui portato al confino di Vernier, sui Pirenei e ci restai fino al 1942. Poi fummo arrestati e consegnati ai fascisti. Venni poi condannato a due anni di confino.
Testimonianza raccolta da Alvaro Tacchini nel febbraio 1985. Testo coperto da copyright. Non riprodurre senza citare la fonte.
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