Altri tifernati si unirono all’esercito garibaldino quando stava risalendo la Penisola. Merita attenzione la storia di un avventuroso e idealista adolescente, Torquato Bacchi. Orfano del padre Luigi, artigiano volontario nella campagna 1848-1849, Torquato era apprendista nella bottega di sartoria del nuovo marito di sua madre, Geremia Guerrieri, altro ardente patriota. La sua storia la si legge in un certificato rilasciato nel 1861 dal sindaco Orazio Alippi:
“[…] sebbene di poco superato il 13° anno, preso ancor esso dall’universal entusiasmo, che infervorava la mente di ogni buon italiano, si recò fino dallo scorso anno a militare nelle invitte schiere del General Garibaldi, e sebbene di tenerissima età venne annoverato nella 15a Divisione, 1a Brigata 2a Compagnia Battaglione Bersaglieri dell’Esercito meridionale, nel qual Corpo rimase fino al 6 dicembre p. p., giorno in cui veniva congedato assolutamente con foglio n. 1271 […] che dichiarava aver il med. giovinetto fatta la Campagna del 1860 contro i Borboni di Napoli per l’Unificazione italiana e gli si accordava la gratificazione di sei mesi di paga per Lire italiane 171. […] Nello scorso anno prima della caduta del Governo Pontificio, essendo il med. Bacchi ritornato con permesso in questa sua Patria, fu dal med. Governo trattenuto in carcere per varj giorni in seguito della manifestazione dei di lui sentimenti italiani. […] Il detto giovane esercente il mestiere di sarto, trovasi da più anni mancante di padre; Antonio Bacchi di lui avo paterno, pressoché settuagenario, militò sotto le gloriose bandiere del primo Napoleone, e nella battaglia di Lutzen perdette il braccio sinistro, per il che dal magnanimo successore del med. Napoleone I, nell’anno 1857, gli fu accordata la somma di franchi 400, e venne onorato con la medaglia di S. Elena”.
Si ha interessante documentazione su altri volontari che guerreggiarono nel Sud con Garibaldi. Lo scalpellino Giovanni Frati, dopo aver fatto “la Campagna delle Due Sicilie contro il Governo Borbonico” militando nei “Montanari del Vesuvio” avrebbe poi chiesto di poter essere ammesso alla leva militare al posto del possidente Carlo Lignani di San Leo Bastia: lo faceva “per giovare sempre alla propria Patria, e per procurare se non in tutto almeno in parte un qualche mezzo al proprio genitore ormai impotente per la sua avanzata età a provvedere il necessario”. Paradossale il caso di Alessandro Francesco Peri. Quando dovette rispondere dell’accusa di diserzione, lo stesso tribunale militare di Modena si rese conto che il congedo rilasciatogli dall’“Esercito Meridionale Italiano comprova[va] avere egli abbandonato l’Esercito del Re non per poltrire nell’ozio ma per offrire il suo braccio dove il bisogno della Patria si manifestava più potente”; solo che il Peri, “per evadere vie più la vigilanza governativa di quel tempo arruolandosi nell’Armata Meridionale”, aveva cambiato il cognome in Rossi e l’Alessandro Francesco congedato figurava come Rossi, non come Peri. Il tribunale chiese quindi al Comune di Città di Castello di confermare l’identità e la storia del volontario.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).