Fiorì ancora la poesia d’occasione legata a eventi familiari, specialmente matrimoni, e civili. Capitavano spesso al tipografo ordinazioni di opuscoli e componimenti in memoria di defunti. Risalgono a quel periodo – conservati nei fondi privati poi donati alla Biblioteca Comunale – gli avvisi di gusto più moderno con l’annuncio del decesso e dei funerali. Si celebravano con poesie pure le guarigioni straordinarie. La marchesa Pasqui sopravvisse a una grave malattia seguita al parto dopo aver fatto esporre alla pubblica venerazione nella chiesa di Santo Spirito “una divota immagine di Nostra Donna”; gli amici festeggiarono l’evento con un sonetto composto da uno studente di quinta classe ginnasiale.
L’intellettuale che più di ogni altro si dedicò a queste poesie, composte in genere su commissione, fu il prof. Gaetano Cassarotti. Ne scrisse di ogni tipo: per matrimoni, per cantanti lirici che si esibirono in città, per musicisti tifernati, per ordinazioni sacerdotali, per un neo avvocato e per lo stesso Biagio Donati. Sono di Cassarotti pure alcune delle scherzose poesie che i “giovani serventi” dei caffé solevano distribuire fra la clientela per gli auguri natalizi. Chiedevano un testo a qualche intellettuale locale, lo facevano stampare a Donati e quindi l’offrivano “ai generosi avventori” per raccogliere la mancia. Anche i barbieri utilizzavano sonetti per tale scopo.
Gaetano Cassarotti fu a lungo presidente degli accademici, che si ricostituirono in un primo momento come Liberi Floridani e nel 1866 ripristinarono l’originaria denominazione dell’Accademia dei Liberi. Il governo stabilì che a giugno si festeggiassero l’Unità d’Italia e lo Statuto e impose l’obbligo della celebrazione anche agli accademici. Lo fecero con solennità nel 1862, con un “omaggio di riconoscenza” al Re Vittorio Emanuele II.
Il recupero della “fierezza antica” da parte dell’Accademia dei Liberi non fu senza travagli. Scrisse Biondi: “Ma per i cangiamenti avvenuti, molti soci della cessata Floridana non sentirono più il desiderio di appartenere al nostro istituto […] e si dimisero”. Ciò non impedì loro di riproporre, senza però la precedente continuità temporale, quelle “letterarie e poetiche adunanze” per le premiazioni scolastiche che rimasero vivaci momenti di confronto culturale in tutti gli istituti educativi pubblici e religiosi.
All’indomani dell’unificazione italiana gli appassionati di teatro dettero vita a un’aggregazione stabile. Misero in scena le prime rappresentazioni alla fine del 1863 nel Teatro Mancini. L’anno dopo, quando il teatro era passato in proprietà ai Cherubini-Scarafoni, assunsero la denominazione di Società dei Dilettanti Filodrammatici. Poi si sarebbe chiamata Società Filodrammatica Tifernate.
Tra i promotori più convinti vi era Giuseppe Grifani, che si dette da fare anche per istruire alcuni giovani all’arte filodrammatica.
Dopo il 1872 l’attività della Filodrammatica si fece discontinua, fino a interrompersi per lunghi periodi. Accentuò tali crisi anche la difficoltà di attrarre nel gruppo elementi femminili.
L’estratto è una breve sintesi del testo in A. Tacchini, La Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia (1999).