A cavallo del 1900 dalla tipografia uscivano ormai soprattutto stampati di carattere commerciale. Annunciò di essersi rifornita “di nuovi ed elegantissimi tipi” e pubblicizzò offerte a prezzi “mitissimi”: “100 eleganti biglietti da visita per soli cent. 90”, “partecipazioni a lutto da Lire 5, 7, e 9 per ogni cento copie”, “cartoline postali col nome della ditta a L. 1,50 il cento” 252.
Municipio e Congregazione di Carità restarono buoni clienti; fecero produrre anche opuscoli con piante organiche del personale, capitolati, regolamenti e relazioni amministrative. La quantità di statuti pubblicati in quegli anni per i tipi della “Grifani-Donati” testimoniano di una società in fermento, di un associazionismo vivo, di un scenario politico che man mano si arricchiva di nuovi protagonisti. Raramente, però, autori tifernati si rivolsero alla “Grifani-Donati” per realizzarvi loro opere.
Anche nell’ultimo scorcio dell’Ottocento fu un giornale a proiettare la tipografia verso il pubblico più vasto, sottolineando nel contempo il radicamento dei Grifani nell’ambiente cittadino. Si intitolava “La Libera Parola” e uscì dal 30 agosto 1896 al 27 novembre 1900. Non si trattò della pura e semplice stampa di un periodico per conto terzi. Giuseppe Grifani ne figurava infatti “proprietario responsabile” e, se non lavorò di penna, certo ispirò articoli e linea redazionale. Questo “Corriere” politico, letterario e amministrativo dell’Alta Valle del Tevere” sorse con l’intento di sollecitarvi un ampio confronto: “Non c’è forastiero” – commentò infatti nel primo numero – “che non meravigli di tanta apatia che regna in ogni classe di cittadini […]”. “La Libera Parola” dibatté quindi temi locali e nazionali. Fu naturalmente attenta testimone di quanto avvenne in città in quei quattro anni, dalle disgrazie collettive (una terribile inondazione e una forte scossa di terremoto), ai drammi sociali (un’agitazione per il caro-viveri e l’emigrazione), alle battaglie elettorali. Il giornale, per quanto si proclamasse “indipendente, calmo, sereno”, ebbe un occhio di riguardo per il deputato monarchico altotiberino Leopoldo Franchetti e non perse occasione per sottolineare la sua matrice laica e patriottica, tanto da essere inviso al clero. Si resse sui proventi delle vendite e degli inserti pubblicitari. L’appello di Grifani fu esplicito: ” […] è meglio spendere settimanalmente un soldo per un periodico cittadino, che bevere quotidianamente un cicchetto di mistrà. Tutti, adunque, ricchi e poveri, sesso debole e forte, gente di qualunque ceto e condizione, comprate il giornale: il quale non vuol vivere per un interesse che impingui proprietario e redattori (non c’è pericolo!); ma perché il benessere, la prosperità, la civiltà cittadina lo richiedono”.
Giuseppe Grifani era dunque un personaggio assai noto. In quegli stessi anni la Società Filodrammatica Tifernate, ricostituita nel 1896, riuscì a darsi un’organizzazione stabile ed efficiente e toccò proprio a lui il delicato ruolo di direttore artistico dell’associazione. Le rappresentazioni si susseguirono al Teatro Cherubini Scarafoni – dall’estate del 1897 intitolato a Luigi Bonazzi – con continuità e successo di pubblico. La famiglia Grifani vi si dedicò quasi al completo: insieme a Giuseppe, che dirigeva e di rado recitava, si esibivano abitualmente i figli Plinio ed Ernesto e, talvolta, la nuora Leonida.
L’estratto è una breve sintesi del testo in A. Tacchini, La Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia (1999).