Già all’inizio del Novecento Ernesto Grifani era solito apporre la sua firma nelle fatture aziendali. Il passaggio di consegne tra padre e figlio fu quindi graduale e la morte di Giuseppe, nell’agosto del 1909, non ebbe effetti traumatici. Da cinque anni aveva redatto il testamento, con chiare disposizioni: lasciava la “quota legittima” di quanto possedeva ai figli Plinio, Archimede e Libera; tutto il resto, in quanto erede universale, a Ernesto.
Di lì a qualche tempo, guardandosi indietro, Ernesto avrebbe manifestato legittima soddisfazione per essere riuscito, con l’aiuto della moglie Leonida, a raddrizzare le sorti della tipografia: “Difficoltà non poche e sacrifici ho dovuto superare per mantenere l’antica officina Grifani a livello imposto dalle esigenze dell’arte tipografica. Nuovi caratteri e nuovo macchinario hanno sostituito gli antichi strumenti tipografici, cosicché oggi, specialmente nell’esecuzione di lavori commerciali, ho la certezza di poter gareggiare con le migliori stamperie.”
Ernesto pose pure mano alla sistemazione della sede. Il Comune aveva riparato la scala di accesso, aumentandogli però l'”appigione dei locali”. Alla ristrutturazione del locale della compositoria – “completamente a tetto e senza fenestre” – dovette pensarci da sé. Nel 1907 chiese pertanto una riduzione del canone d’affitto annuale da L. 150 a L. 125. I Grifani occupavano, sopra le Pesceria, “un locale grande ad uso di tipografia e tre ambienti per uso di abitazione […] prospicienti corso Cavour, e due ambienti ed una latrina situati in fondo [alla tipografia] e prospicienti via del Popolo”.
Delle responsabilità da lui assunte già nel 1904 ne è prova la lettera di reclamo inviata al sindaco. Scrisse: “E’ già per la terza volta che cotesta amministrazione comunale toglie alla mia tipografia del lavoro che ordinariamente veniva affidato. Primo: la stampa dei moduli per l’ammissione al Pellagrosario. Secondo: le pagelle degli alunni delle scuole elementari. Terzo: la stampa delle liste elettorali, tutti lavori di una certa importanza. Per quanto abbia cercato” – aggiunse – “non ho potuto trovare la causa di questo fatto, tanto più che da circa 80 anni la mia tipografia serve l’amministrazione comunale, succedendosi in questo periodo amministratori differenti anche in indole politica, senza che questi abbiano mai trovato a ridir nulla”. Quindi si appellò alla “non comune lealtà” del sindaco perché gli spiegasse le vere ragioni dell’ostracismo.
Nuovi competitori si stavano intanto per affacciare sullo scenario tipografico tifernate. Nel 1905 sorse la Scuola Editrice Cooperativa, poi Società Tipografica Cooperativa Editrice e infine “Leonardo da Vinci”. Questa nuova azienda con solidi addentellati in campo religioso gradualmente sottrasse ancora alla “Grifani-Donati” quella clientela che era tornata a rivolgersi ad essa dopo la chiusura della Tipografia Cattolica nel 1902. Ma la definitiva perdita di gran parte dei clienti istituzionali cattolici sarebbe avvenuta di lì a poco, nel 1912, con la fondazione da parte del vescovo Carlo Liviero della Tipografia Vescovile, poi denominata Scuola Tipografica degli Orfanelli del Sacro Cuore.
Giuseppe Grifani morì il 21 agosto del 1909.
L’estratto è una breve sintesi del testo in A. Tacchini, La Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia (1999).