Nel giugno del 1809, intanto, gli eventi storici avevano scosso la città dal suo torpore. Con l’abbattimento del governo pontificio e la riunione dello Stato della Chiesa all’Impero napoleonico, anche Città di Castello era finita sotto il dominio francese.
Quando fu istituita la Guardia Nazionale, nel 1810, vi si dovettero iscrivere 894 cittadini. Uno di essi era Francesco Donati. Aveva 45 anni e viveva con la moglie Celeste Spadini e quattro figli tra i 10 e i 5 anni di età: Nazzarena, Biagio – nato nel 1803 -, Orsola e Domenico. Celeste avrebbe dato alla luce altre quattro figlie: Apollonia, Marianna, Maria e Veronica.
Risalgono proprio a quell’epoca altre preziose informazioni sulla sua bottega. Nell’aprile del 1810, la prefettura chiese lumi sull’attività tipografica e il Municipio rispose: “In questa città esiste una sola stamperia fornita di pochi caratteri, e già stanchi. Le sue operazioni si ristringono a stampare calendarj, dottrine, ed altri piccoli oggetti. […] Non usciendo qui delle produzioni degne di stampa fa sì che la medesima serva mediocremente all’occorrenza di questa città”. La comunicazione non parve esaustiva e si pretesero ulteriori notizie sul profitto annuale di Donati. Il maire Machi ribadì la modestia dell’attività della tipografia: “Questo stampatore Francesco Donati dal profitto delle stampe ritrae appena il mezzo di una miserabile sussistenza. Esso non esercita altra professione, e però vive in una condizione povera”. Nemmeno questa volta l’interlocutore del Municipio rimase soddisfatto: “Il mio scopo non è quello di sapere, se codesto stampatore ritrae una miserabile, o commoda sussistenza dalla di lui stamperia, ma quello invece di conoscere qual somma annuale presso a poco ne ricava. […] Si compiaccia di favorirmi una risposta completa”. Il maire dovette quindi inviare precisi dettagli: “I prodotti che dalla stamperia suole ricavare questo stampatore possono calcolarsi al lordo circa a scudi 120 all’anno, o siano franchi 642 contando un anno per l’altro”.
Non muovevano le autorità imperiali curiosità di carattere economico o intenti fiscali. La stamperia poteva essere il crocevia di un’attività politica e intellettuale da tenere assolutamente sotto controllo.
A partire dal 1811 Donati dovette compilare appositi moduli inviati dalla sottoprefettura, indicando “tutte le stampe fatte” e chiedendo l’autorizzazione al “Conseilleur d’Etat, Directeur général de l’Imprimerie et de la Libraire”. Ma l’artigiano tifernate ottemperò con una certa riluttanza, tanto da mettere in imbarazzo lo stesso maire – che gli passava le circolari dei superiori – e da essere più volte richiamato per le sue “mancanze”.
L’estratto è una breve sintesi del testo in A. Tacchini, La Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia (1999).