A Città di Castello si è tentato più volte, con scarso profitto, di impiantare delle fabbriche di sapone. Per qualche tempo, nei primi anni Cinquanta del XIX secolo, ci provarono due fiorentini, Ercole Antico e Antonio Del Vivo. Ma la loro attività durò poco.
Nel 1889 Pasquale Lombardelli prese in affitto dei locali nell’ex convento dei Serviti per effettuare un “saggio di esercizio di saponeria” e quindi “dimostrare in piccole proporzioni la convenienza per l’impianto di una regolare fabbrica di saponi”. Ma nemmeno Lombardelli ebbe fortuna. Scrisse: “Furono fatte ripetute prove, fu posto in commercio il prodotto, […] fu rilevata l’utilità di una fabbrica del genere; ma quando si è fatto appello per costituire un piccolo capitale, si è trovato da tutti la più glaciale apatia”.
Nel 1905 prese l’iniziativa Zenone Giuliani. Della sua azienda si interessarono anche le cronache locali: produceva quotidianamente tre quintali di “vero” sapone marsigliese, “imparato personalmente sul luogo”. Si trattava di saponi gialli, bianchi, “marmorati” con colori a scelta. Il laboratorio rimase in attività appena qualche anno.
Durò un decennio appena la vita di un’altra impresa, sorta nel 1920. La SISA (Società Industrie Saponi ed Affini) aveva in affitto due vani grandi e due piccoli al pianterreno della Fraternita, nell’omonima via. La società fu posta in liquidazione nel 1930 e i locali tornarono al Comune.
Appena conclusa la seconda guerra mondiale vide la luce un altro saponificio. Si chiamava “Tre torri”. Per ospitarlo, fu riadattata la vecchia carbonaia della Ferrovia Appennino Centrale. Anche questa piccola iniziativa imprenditoriale ebbe breve durata. Nonostante la buona volontà dei promotori – convinti che per tale prodotto si sarebbe presto aperto una vasto mercato – fu fatale la mancanza di risorse finanziarie. Così, come Lombardelli qualche decennio prima, dovettero desistere.
Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note