Nella documentazione della fine degli anni ‘50 non si trovano più i nomi dei Martini. Il Comune allora soleva rivolgersi a Marco Frati, figlio del ricordato Benedetto, e a Giuseppe Fiorucci. Questi continuò l’attività dei Martini sia come scalpellino, sia come selcino. Ebbe una vasta clientela pubblica e privata. Lo vediamo infatti lavorare a lungo per il Municipio e per gli enti ecclesiastici. Tra i privati, il conte Pierleoni si servì molto di lui. Disponeva certamente di maggiori mezzi rispetto ai concorrenti. Nel 1869 la giunta comunale gli affidò a trattativa privata la selciatura di “piazza di sopra”, perché era “il solo che [avesse] disponibile il materiale necessario”. Fu vano il reclamo dell’altro scalpellino Frati. Meritò però qualche rimbrotto: una volta il sindaco lo invitò perentoriamente a migliorare il selciato in costruzione presso via dei Casceri: “[…] lascia molto a desiderare; […] il lavoro male eseguito sarà rifatto a sue spese”.
Giuseppe Fiorucci fu un artigiano assai longevo. Iscritto nelle liste elettorali della Camera di Commercio già nel 1877, vi figurava ancora nel 1908. Una carta intestata del 1913 fa riferimento alla ditta “Giuseppe Fiorucci e figli, lavoranti in pietra e marmo”.
Da alcune fatture si ricava che, ancora in epoca pontificia, Fiorucci chiedeva 30 baiocchi per ogni giornata lavorativa; alla fine degli anni ‘70, veniva pagato 2 lire al giorno.
Nel 1861 Fiorucci figurava anche come affittuario della cava di “pietra arenaria compatta” di Fontecchio. Ne esistevano altre due. In quella di Belvedere, anch’essa di pietra arenaria compatta e in affitto a Ventura Meaccioli, lavoravano per circa 300 giorni all’anno 4 cavatori e 3 scalpellini; gli uni guadagnavano di media L. 2 al giorno, gli altri L. 2,50. A San Leo Bastia si estraeva pietra per macine. Vi erano occupati 3 cavatori per circa 150 giorni all’anno; il loro salario era di L. 2,50.
Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note