Dal 1840, per oltre quarant’anni, il “falegname del Duomo” fu Francesco Montani (1808-1888), noto con il soprannome di “Lumechiaro”. Nella sua prolungata attività, svoltasi anche nelle proprietà rurali della Cattedrale, produsse tutto ciò che ordinariamente si richedeva agli artigiani di questo settore: porte e architravi, finestre, scuri e “batusci”, armadi e credenze, tavolini, seggiole e scrivanie, bussole e cornici, scompezzini, “sventole per accendere il fuoco” e attaccapanni. Per quanto riguarda gli arredi sacri e il mobilio interno al Duomo, “Lumechiaro” costruì e riparò “i ginochini della via Crucis e di S. Florido”, “il ginocchiatoio al confessionaro”, le banche per i fedeli, i nuovi banconi “per i canonici per assistere alla predica”, l’intelaiatura del prospetto per la processione del Corpus Domini, che corredò di due angeli lignei, e il trono del vescovo; fece piedistalli intagliati per i reliquiari, cassette per l’elemosina in noce, “bacioccoli” [piroli torniti per gli sgabelli del trono del vescovo, n.d.a.] e “due lunghe tavole per tenere i paramenti sagri in sagrestia per la Funzione degl’Olii Santi” – “troppo necessarie” si legge nel registro di amministrazione, quasi a voler giustificare la spesa. Montani curò la manutenzione degli infissi: nel 1864 ritoccò e stuccò tutte le finestre della Cattedrale, della cupola e del cupolino, dando “tre mani di olio alle fenestre nuove” e “due mani di vernige e di olio” alle vecchie; rinforzò, stuccò e rivernigiò con “due mani di olio e vernige” anche le porte del Duomo “di sopra” e “di sotto”. Era suo compito il montaggio e lo smontaggio in chiesa dei “banconi per le prediche” della Quaresima e dell’Avvento, del “palco degli esercizi” e delle “due macchine delle Quarantore, e Sepolcro”. Naturalmente dovette riparare di tutto: oltre agli infissi, ai mobili e agli arredi, “acomodò” le balaustre, le scalinate del trono di San Florido, i gradini per il piano dell’altare, i cancelli delle cappelle, il “paravento della porta da piedi”, la “catreda da predicare”, gli scalandrini, le cartaglorie, il canapè della camera del capitolo, “il confesionario del penitenziere”, “i tellari” delle graticce, le careghe della stanza capitolare, i banchi e le cattedre della scuola. Talvolta si occupò pure dell’organo.
Riguardo ai lavori da “fallegniame” nelle proprietà rurali della cattedrale, le fatture di Montani descrivono quelli effettuati al mulino della Canonica e nei poderi di Feligioni (o “Filigione”), di “Zoppino” e di “Cagnetta”. Emblematica la serie di opere elencate nel 1855: fece “una porta alla stalla de bovi a tutta fodra”, un’altra per la stalla del cavallo e rimise “una fiminella” a quella degli agnelli; riparò una porta di casa, una “fenestra del granaro” (“rimessi i regoli curti e agiuntato i lunghi”) e ne restaurò altre rimettendo diverse “fodre e spallette”; costruì la finestra di una stanza da letto “con suo telaro e sportello” e altre quattro nuove “con sui scuri e telari”, un “barocchio per il pozzo di Cagnietta” e la porticina della stanza “dove il Zoppino tiene le ghiande”; infine mise “una serradura nel granaro di sopra” e raccomodò una botticella, rifacendo “lusciolo e capo usciolo a una fiancata davanti”. In quella circostanza Montani fu parzialmente pagato con grano. Talvolta inviò a lavorare in campagna un “giovane” di bottega: gli fece fabbricare due scuri per la finestra “dei bova”, riparare “greppie” e “agiuntare i travi del capanno”. Nel 1856 Montani guadagnava baj. 30 al giorno, il suo garzone 17; tali cifre sarebbero rimaste a lungo invariate, indicate in baiocchi per alcuni anni anche dopo l’Unificazione italiana. Nel 1872 il suo guadagno giornaliero era di L. 1,50.
[…] La sua bottega aveva una dimensione famigliare. Occupava anche i figli Filippo e Giuseppe, il fratello Aquilino e il nipote Luigi. Nel 1871 accorsero tutti a prestare la propria opera da falegname in occasione dell’incendio del campanile. Nove anni dopo li si ritrova ancora insieme. L’ultimo riferimento documentale alla bottega di “Lumechiaro” risale al 1883.