Gli italiani deportati con quel treno vennero poi smistati nei vari lager. Tifernati e umbertidesi si ritrovarono nel cuore di uno dei territori tedeschi di maggiore importanza strategica per la produzione di armi. I bombardamenti alleati stavano costringendo i nazisti a decentrare molti impianti industriali e la Turingia, situata al centro della Germania e ancora lontana dal fronte bellico, si prestava ad accoglierli e occultarli con le sue alture e valli boscose e con le sue miniere che, adeguatamente ampliate, potevano servire a fini militari.
Il 12 ottobre 1944 Hitler dispose di fabbricare proprio a Kahla il caccia a reazione Messerschmitt Me 262, una delle armi con le quali sperava di capovolgere le avverse sorti del conflitto. Abbisognavano però migliaia di braccia da lavoro da impiegare a ritmi forzati, destinate ad una rapida usura ma facilmente sostituibili, per un progetto ambizioso, contrassegnato dal nome in codice “Lachs”: scavare un imponente complesso di tunnel sotterranei nell’altura di Walpersberg, là dove si ramificava una vecchia miniera di sabbia quarzifera da porcellana; sistemarvi gli impianti per la produzione delle componenti degli aerei; innalzare poderosi bunker in cemento nei quali assemblare gli aviogetti; realizzare vie di comunicazione, canali, ascensori e ogni altra infrastruttura; e infine spianare la parte superiore del Walpersberg per costruirvi una pista di decollo in cemento di circa 1.500 metri. Una funicolare avrebbe trasportato i caccia dai bunker alla pista.
Ecco a cosa servivano i deportati. Fino al termine della guerra avrebbero infatti scavato 75 gallerie per uno sviluppo di 32 chilometri e una superficie di circa 10.000 metri quadrati.
L’imponenza dei lavori non poteva passare inosservata agli Alleati. Infatti un ricognitore britannico fotografò gli impianti in costruzione sul Walpersberg il 19 marzo 1944, ma la zona fu risparmiata dai bombardamenti, a differenza dei siti presso Nordhausen, sempre in Turingia ma a circa 120 chilometri a nord di Kahla, dove contemporaneamente si stavano costruendo i missili V-1 e V-2.
Si ritiene che nella zona di Kahla abbiano lavorato sulle 15.000 persone, per due terzi manodopera coatta di varie nazionalità. Gli italiani – oltre 3.000 uomini e alcune donne – pagarono un prezzo altissimo, con circa 450 dei 900 decessi ufficialmente riconosciuti; ma tali cifre sono ampiamente sottostimate, dal momento che l’insieme delle testimonianze induce a fissare in ben oltre 5.000 il numero effettivo dei morti. Del resto le autorità naziste avevano inviato ordini perentori affinché gli internati dessero le migliori prestazioni possibili al minimo costo.
Divisi in squadre, i deportati vennero assegnati alle varie ditte – ben 95 – appaltatrici dei lavori a Kahla per la REIMAHG, l’impresa che faceva capo al plenipotenziario dell’economia per il Terzo Reich Hermann Goering. Più volte dovettero cambiare lager e, soprattutto, squadre e cantieri. Per quanto i gruppi di tifernati e umbertidesi cercassero di rimanere il più possibile insieme, finirono con l’essere smistati in diversi luoghi di lavoro. Spesso, quindi, non potevano che ritrovarsi la sera nelle baracche, spossati.
Le loro vicende presentano tratti molto simili ed è pertanto possibile accorpare le testimonianze intorno ai momenti più salienti di un’esperienza per tutti drammatica.
Per ulteriori informazioni sul lavoro forzato dei deportati a Kahla, si suggerisce la consultazione del sito www.walpersberg.de