Durante la guerra, i socialisti altotiberini, per quanto aspramente critici verso la borghesia locale, non rifuggirono da schiette analisi del livello di coscienza di classe e dei comportamenti. Dopo il tumulto di Monterchi del 19 febbraio 1915, durante il quale un contadino fu ucciso da un carabiniere, “La Rivendicazione” non speculò sul fatto, ma enfatizzò l’immaturità politica di quella popolazione rurale, ammettendo “una ignoranza sbalorditiva e una insufficienza di ragionamento che mai” – scrisse il periodico – “si sarebbero sospettate in una popolazione la quale ha pur sentito l’eco di altre lotte agricole nella vicina Umbria e nella stessa Valle Tiberina”. Secondo i socialisti, i contadini, pur avendo le loro buone ragioni per richiedere provvedimenti sul prezzo del grano, stavano prendendo di mira erroneamente l’amministrazione comunale.
Meriterebbe certo un ulteriore approfondimento il severo giudizio – non certo scevro di partigianeria – espresso in quell’occasione dai socialisti sui due comuni di Monterchi e Monte Santa Maria Tiberina, bollati come “una macchia nera di clericalismo, di conservatorismo e di ignoranza”: “[…] paesi senza manifestazioni intellettuali, quasi senza medico, senza farmacia, senza professionisti di sorta, con due o tre maestre sfiduciate, deboli e sovracaricate, paesi senza industrie e con uno sterile commercio di botteghe sanguisughe, a lor volta succhiati dal fisco, con artigiani poco abili e servili […] popolazione quasi accattona che con la educazione ipocrita, avuta e mantenuta dal prete, finge anche maggiore povertà di quella che l’aggrava […]. I possidenti diffamano e si diffamano tra di loro e solleticano spesso le passioni più basse della misera gente contro quelli che sembrano più ricchi e meno indebitati”
[1].
La consapevolezza della debolezza politica del proletariato locale turbava i socialisti. Tuttavia il corrispondente di Sansepolcro de “La Rivendicazione” si lasciò andare a considerazioni che, per la loro brutalità, inquietarono anche i dirigenti del partito: “È inutile dire e ripetere ai nostri lavoratori di Sansepolcro e specialmente alla parte più numerosa ed anche più rozza di essi, che ogni movimento deve essere studiato, ogni richiesta bene ponderata, ed ogni sforzo misurato al proprio potere di classe ed alla cultura e alla mentalità della gente nostrana. Gli operai non sanno fare senza il padrone, come i buoi non sanno arare senza la guida e il pungolo del bifolco, e neppure sanno esprimere comunque i loro pensieri e le loro aspirazioni; anche al di sotto in questo del bestiame che senza facoltà di favella, sferza calci e cornate e morde o mostra i denti quando è maltrattato e percosso”
[2].