Il 21 novembre 1909 un pubblica manifestazione nel Palazzo Municipale sancì la nascita della Scuola Operaia di Città di Castello. Giunse da Terni il prof. Virgilio Alterocca, industriale di larghe vedute e promotore di un istituto professionale nella sua città.
Il primo anno frequentarono assiduamente i corsi serali, divisi in due classi, 46 allievi su 55 iscritti; altri 40 presero parte al corso domenicale. L’insegnamento del disegno fu affidato a Ezio Fantini, che ebbe come assistente lo scultore Nazzareno Giorgi. Il maestro Furio Camillo Fabbrini fece lezioni di cultura generale e funse anche da segretario dell’istituto; l’anno dopo cedette l’insegnamento al maestro Giulio Briziarelli.
Bisognava rafforzare nei giovani allievi la convinzione dell’importanza della Scuola, così fin dall’inizio si fece in modo che le lezioni, tanto di disegno quanto di cultura, fossero improntate alla massima praticità e “mirassero cioè a riuscire veramente di preparazione all’operaio e non un puro e semplice ornamento sia grafico che intellettuale”.
Non era affatto scontato stabilire un profondo legame fra Scuola e allievi. Le parole di Giulio Pierangeli mettono in evidenza le difficoltà di ordine didattico e culturale che gli insegnanti si trovarono a dover affrontare: “Fu notato fin dai primi tempi che mentre i corsi di Disegno venivano frequentati con grande assiduità e profitto, quelli di cultura scarseggiavano di alunni, e la ragione di ciò va ricercata appunto nella differenza di preparazione dei medesimi, tale da accomunare il licenziato dalla scuola elementare, ed anche della Scuola tecnica, con una maggioranza di semi analfabeti […]. A ciò va aggiunto che, come è risaputo, i fanciulli e i giovinetti sono sempre attratti per tendenza naturale e diremmo fatale verso tutto ciò che li diletta, come il Disegno, mentre fuggono quello che produce loro delle sensazioni dolorifiche e quindi spiacevoli, come lo studio, il lavoro, e in genere qualunque applicazione tediosa”.
Tuttavia la Scuola Operaia colse nel segno. A frequentare i primi corsi fu proprio una generazione di artigiani che divenne protagonista della vita produttiva tifernate della prima metà del ‘900. In quel 1909 avevano meno di vent’anni i falegnami Quinto e Torello Cristini, Gualtiero Verini ed Esdra Agnellotti, il decoratore Coriolano Castellucci, i fabbri Giuseppe Checcaglini e Gino Godioli, i muratori e successivamente impresari edili Luigi Crocioni, Domenico Marinelli ed Edoardo Chiurchi. Appena qualche anno in più avevano il verniciatore Antonio Gentiletti, i falegnami Aziaco Rossi, Antonio Fortuni, Assalonne Arcaleni e Augusto Pellegrini. Per la loro competenza e autorevolezza, Godioli e Pellegrini sarebbero diventati istruttori nella stessa Scuola Operaia. Altri artigiani – i Cristini, Agnellotti, lo stesso Godioli – avrebbero condotto aziende di un certo spessore per gli standard di Città di Castello.
Nel secondo anno di attività crebbe il numero degli iscritti e si fecero tre classi. I promossi furono 51 su 66. Con il terzo anno si completò il corso triennale e vennero introdotti gli insegnamenti della tecnologia e meccanica e della plastica. Il corso domenicale era allora frequentato da ben 80 allievi.
Intanto la sede, inizialmente in alcuni locali dell’ex convento di San Francesco, ne aveva trovati di più ampi a pianterreno della Scuola Tecnica, in un altro ex convento, quello di Sant’Antonio in piazza Gioberti. Tuttavia anche la nuova sistemazione lasciava a desiderare. Inoltre la Scuola era ancora del tutto priva di propri laboratori e doveva “fare eseguire gli esercizi pratici da ciascun giovane individualmente nella propria bottega e nei ritagli di tempo”. E tra le esercitazioni pratiche effettuate nelle botteghe di provenienza ci furono gli stessi banchi per il disegno e per le aule che necessitavano alla Scuola.