Burani Giuseppe. La Guardia Nazionale Repubblicana a Città di Castello

Giuseppe Burani (1924-2018) fu testimone di un tragico fatto si sangue avvenuto al tempo del fascismo repubblicano a Città di Castello.

 

Nella Guardia Nazionale Repubblicana (“Bilinciana”)
Sono del ’24. Appartenevo alla leva di mare e avrei dovuto essere chiamato il 10 settembre 1943. Dopo l’8 settembre i carabinieri mi dissero di aspettare. Dei vecchi socialisti mi dissero che si stavano formando delle bande di antifascisti a Morena. Andai lassù, ma non trovai niente.
Dovetti quindi entrare nella Bilinciana, che allora era comandata da Dorando Pietro Brighigna e aveva la sua sede a San Giacomo, nel palazzo delle monache, ex caserma della polizia stradale. Ci rimasi nei mesi di ottobre e novembre. Il mio ufficiale era Alvaro Sarteanesi, un fascista non certo accanito; comandava il nostro plotone. Poi mi ammalai di reumatismi e rimasi all’ospedale fino a giugno.
L’uccisione di Luigi Cavallucci
Nei due mesi che rimasi nella Bilinciana avvenne l’episodio dell’uccisione di Cavallucci. Lo conoscevo bene, era del ’23, un tipo esuberante e che viveva di espedienti; si diceva che facesse anche del mercato nero con cose sottratte ad Arezzo dopo i bombardamenti. E si diceva che aveva ucciso un tedesco.
Una mattina ci svegliano tutti alle 6, ci dividono in gruppi: chi doveva bloccare una strada, chi l’altra. Io ero nella squadra, cinque o sei, che doveva salire nella casa dove abitava Luigi Cavallucci. Ci comandava Landucci; con me c’erano anche Dino Neri (poi espatriato) e Pieroni. Quando salimmo in casa Cavallucci, Neri effettuò la perquisizione e ci disse che lui non c’era, il letto era ancora caldo, era scappato. Per noi poteva finire lì. Non sapevamo che Cavallucci si era rinchiuso nella stanza di un certo Crocioni. Mentre si usciva, una donna si affacciò da una finestra interna e ci indicò dove si era nascosto il fuggitivo. Lui infatti era inviso ai vicini, perché faceva lo strafottente e si diceva che li minacciasse di mettere una bomba nella casa e di farli esplodere. A quel punto non potemmo fare a meno di bussare a quella porta. Cavallucci, sentendosi scoperto, si affacciò alla finestra interna per gettarsi giù nel chiostro. Non sarebbe andato lontano; come minimo si spezzava una gamba. Invece Pieroni fu impulsivo e gli sparò subito, ammazzandolo. Al ritorno in caserma, gli altri dicevano: ‘tutti zitti, non diciamo chi ha sparato’. Ma a me non andava bene, perché prendere colpa di quell’uccisione? Rientrammo in caserma e ci dissero che dopo poco che Cavallucci era stato ammazzato, già qualcuno aveva scritto su qualche muro di Castello: “Pieroni assassino, Gino ti vendicheremo”. Mi domando chi poteva averlo detto in giro; noi non di certo.
Quando ero all’ospedale vidi portare il Ceccarani, il fascista ferito a morte a Villa Santinelli, aveva una pallottola nella gola.

 

Testimonianza raccolta da Alvaro Tacchini nel 2005.Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.