In presenza di tre ufficiali della GNR, Armando Rocchi provvide personalmente a perquisire e a interrogare i catturati, che “si dichiararono apertamente comunisti”. Nessun altro milite assistette all’interrogatorio. Di quanto avvenne in quei drammatici momenti restano due testimonianze. La prima è dell’unico partigiano, dei 10 arresisi, che sarebbe sopravvissuto, Sergio Lazzerini: “Contrariamente alla promessa, appena avutici in loro potere ci seviziarono crudelmente, torturandoci con calci, pugni, nerbate e con colpi di calcio di armi automatiche. Infine vedendoci ridotti all’estremo decisero la nostra fucilazione”.
La seconda e più corposa testimonianza è di Armando Rocchi. Redasse il suo Memoriale a fini processuali, per confutare l’accusa di aver “cagionato” la morte dei 9 patrioti. Rocchi scrisse che avrebbe voluto salvare la vita dei “ribelli”, ma che dovette soccombere alla ferrea volontà di fucilarli espressa dai due ufficiali tedeschi, il comandante del plotone autoblinde e un altro delle SS che fungeva da interprete. Secondo il capo della Provincia, i tedeschi – furibondi anche per aver avuto delle perdite (“tre o quattro feriti”), “non fecero certo dei complimenti con i primi che presero”. Poi insistettero sulla necessità di applicare senza tentennamenti il Bando del Duce, che imponeva la fucilazione dei ribelli catturati, e sottolinearono la pericolosità di quei partigiani: “Se 13 uomini, mediocremente armati, hanno tenuto per 13 ore immobilizzati 100 uomini, bene armati, infliggendo perdite (complessivamente due morti e 6 feriti), senza subirne, vuol dire che essi sono banditi molto pericolosi, che, se messi in prigione oggi, domani, in un momento di crisi nostra possono evadere e si trasformeranno alle nostre spalle in altrettanti pericolosi franchi tiratori e noi, per un atto di generosità compiuto oggi, dovremmo piangere nuovi e più gravi lutti domani”. L’ufficiale della SS avrebbe infine detto a Rocchi le testuali parole: “Voi Eccelenza bono soldato, ma cattivo chirurgo”.
La sorte dei partigiani sembrava dunque già segnata. Poi, a dire di Rocchi, un nuovo elemento fece precipitare la situazione: “Successivamente a dare il colpo di grazia alla mia resistenza intervenne in quel momento un ufficiale italiano a consegnarmi un pacchetto di biglietti di banca di grosso taglio per un complesso di 68mila lire, dicendomi che quello era quanto era stato rinvenuto, durante la perquisizione addosso ai catturati, e che essi riferivano essere quella una somma lasciata dal loro capo per le singole necessità individuali; la somma, di entità molto maggiore, che in quei giorni avevano radunato, era stata nella mattinata portata via da lui, allontanatosi per destinazione non nota”. A quel punto i tedeschi sostennero con ulteriore forza il loro punto di vista. E proprio sull’accusa che i fucilati di Villa Santinelli fossero “banditi”, e non “patrioti”, Rocchi imperniò la difesa del suo operato: “La loro morte fu voluta da loro stessi; provocata cioè, dai reati contro la proprietà, che essi commisero e che inimicarono loro una popolazione spiritualmente e materialmente a loro favorevole, dalla loro follia omicida, che armò loro al mano contro i tutori dell’ordine e dalla loro inconsideratezza, che li spinse a preferire la resa al tedesco, anziché a chi dava loro salva la vita. Di fronte a tale situazione che cosa avrei dovuto o potuto fare diversamente io, come prefetto, Capo responsabile dell’ordine pubblico nella mia provincia?”
La testimonianza di un milite della GNR conferma che furono le autorità fasciste a decidere la fucilazione dei catturati: “Allorché vennero prese le disposizioni di fucilare i patrioti non vi era presente alcun tedesco che avesse potuto influire sulla decisione stessa […]”. Non trova riscontri in documenti o in testimonianze di parte fascista quanto scritto da Claudio Longo: “I tedeschi si ritirarono ammirati e ai fascisti dissero che per l’eroismo dimostrato i partigiani catturati non dovevano essere fucilati”.
Rocchi affidò al ten. Edoardo Scotti l’incarico di formare il plotone di esecuzione. Sembra che i 16 militi che lo andarono a comporre non si offrissero volontariamente, ma fossero scelti dallo stesso Scotti.
Alcuni di coloro che assistettero alla fucilazione ne riferirono le modalità. Sebbene sia possibile individuare alcuni punti fermi, le testimonianze non collimano del tutto, anche in aspetti rilevanti. Verso le ore 20 i partigiani furono condotti davanti alla villa con le mani legate dietro al dorso. Rocchi chiese loro di esprimere un ultimo desiderio. Quando Spartaco Forconi domandò una sigaretta, si prese uno schiaffo dallo stesso capo della Provincia. Poi i condannati cantarono “Bandiera rossa”. Un giovane dipendente dei Santinelli, che si trovava nelle vicinanze, affermò che i condannati ottennero di poter cantare la canzone comunista come loro ultimo desiderio.
I partigiani furono poi divisi in due gruppi. Il primo comprendeva Eduino Francini, Donato Sbragi, Spartaco Forconi, Giustino Bianchini e Alvaro Cheli. Scotti li fece allineare a ridosso del muro esterno dell’edificio e ordinò il fuoco. Quando toccò al secondo gruppo, furono passati per le armi Giuseppe Gobbi, Corrado Luttini, Giuseppe Magnani e Mario Mordaci.
Sergio Lazzerini ebbe salva la vita. Dette due versioni diverse del perché non lo fucilarono. In una prima testimonianza, molto articolata, raccontò: “Quando stavo per seguire la sorte dei miei compagni, il Rocchi fece sospendere il fuoco dicendo: ‘Se rivelerai i componenti le bande partigiane di tua conoscenza e i dirigenti del CLN avrai salva la vita’. Per tutta risposta, strappandomi la camicia e offrendo loro il petto risposi: ‘Vigliacchi sparate’. Contrariamente a quanto mi aspettavo rivolgendosi ai militi disse: ‘Se aveste la fede il coraggio dei partigiani l’Italia madre di noi sarebbe salva’. Mi strinse la mano quindi mi fece legare e trasportare al carcere di Perugia”. Tale conversazione tra Rocchi e Lazzerini non è però riferita da altri testimoni. In una seconda memoria, scritta a 20 anni di distanza, Lazzerini affermò che durante l’interrogatorio si era scagliato con impeto contro i fascisti che lo stavano seviziando e aggiunse: “Mentre ci conducevano dietro un muricciolo della villa stessa per fucilarci, il comandante della GNR Rocchi dispose che il sottoscritto fosse messo in disparte a sua disposizione, in quanto per il suo atto di ribellione alle sevizie fu scambiato per il comandante della formazione”. L’episodio è raccontato in termini diversi dallo stesso Rocchi, secondo il quale il salvataggio di Lazzerini era prova lampante della sua volontà di spargere meno sangue possibile: “[…] quando vidi passare davanti a me i 10 catturati, che andavano al muro, non potei tuttavia fare a meno di fare un ultimo tentativo e, sbarrando il passo a quello di coda ed al soldato che lo accompagnava, dissi all’ufficiale tedesco, che mi interrogava con lo sguardo: ‘questo ho bisogno di interrogarlo, lo farò fucilare io dopo’. Questo tale, di nome Lazzerini Sergio, con cui mai ebbi necessità di parlare, ebbe così salva la sua vita”.
Al termine dell’esecuzione, fu dato ai fucilati il colpo di grazia. Due di essi avevano 18 anni d’età, due 19 anni, quattro 20 anni, uno 32 anni. I loro cadaveri vennero affiancati presso la villa e lasciati sul posto. Non trova conferme un altro aspetto del ricostruzione degli eventi fatta da Claudio Longo: “Poi il nemico sentì quanto grandi erano quei ragazzi e alle salme rese gli onori militari. Il Prefetto Rocchi aggiunse: ‘Come uomini hanno la mia stima e ammirazione’”.
Testo privo di note tratto da Alvaro Tacchini, La battaglia di Villa Santinelli e la fucilazione dei partigiani, Quaderno n. 12 dell’Istituto di Storia Politica e Sociale “Venanzio Gabriotti”, Città di Castello 2017.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.