Nella notte dal 26 al 27 marzo gli eventi subirono l’accelerazione che avrebbe condotto a esiti drammatici. Intorno alle ore 22 un collaboratore di Sante Santinelli, Marzio Bastianoni, gli portò la notizia che i fascisti di Città di Castello, ormai informati della presenza dei partigiani, stavano organizzando una spedizione verso la villa. Fu inutile ogni tentativo di convincere la banda ad allontanarsi immediatamente. Decisero di partire qualche ora dopo, verso le 4 del mattino. Ancora una volta parve ai Santinelli che l’uomo forte della formazione fosse Nannei.
Il comando della Guardia Nazionale Repubblicana di Città di Castello seppe verso le ore 18 del 26 marzo – “su segnalazione di confidenti” – che dei “ribelli comunisti” si aggiravano presso Villa Santinelli e stavano commettendo “delitti contro il patrimonio”. Il comandante del centro di addestramento tifernate della GNR, il seniore Pietro Gambuli, informò della cosa il capo della Provincia Armando Rocchi. Rocchi (1898-1970) era stato volontario della Grande Guerra, fascista e squadrista, seniore della Milizia in Spagna, combattente pluridecorato nei Balcani – dove si era distinto per la dura repressione del movimento partigiano – e vice-comandante della zona militare delle province di Perugia, Terni e Rieti. Il gerarca fascista si convinse di avere a che fare con “comuni malfattori”, che “terrorizzavano la popolazione, commettendo rapine a mano armata, minacce e furti”. Dispose quindi l’immediato invio di un reparto di militi e Gambuli mobilitò la 2a compagnia di Ordine Pubblico, comandata dal capitano Cesare Ceccarani. L’ufficiale godeva della piena fiducia di Rocchi: “elemento calmo e posato”, nonché valoroso, era stato alle sue dipendenze in Albania e Montenegro. Nato a Umbertide nel 1909, Ceccarani all’epoca risiedeva a Perugia.
Era domenica e molti militi fascisti si trovavano in libera uscita. Per farli affluire prontamente in caserma fu addirittura interrotto il film in visione nel cinema di Città di Castello. Si stava facendo buio quando partirono in camion 70 militi, con cinque fucili mitragliatori e due mitragliatrici. Tra di essi vi erano Ubaldo Narducci e Amleto Bambini che, pur continuando a militare nella GNR, erano già in contatto con la i partigiani della Brigata Proletaria d’Urto San Faustino, fungevano per essa da informatori e aspettavano il momento più opportuno per disertare e raggiungere alla macchia i compagni partigiani.
Inizialmente mancavano certezze sugli obbiettivi della spedizione. Alcuni fascisti credevano si trattasse di un’operazione di polizia contro “ladri” in azione nella zona di San Pietro a Monte. Ma di lì a poche ore, dal presidio della GNR di Città di Castello, il maresciallo dei carabinieri Emo Fiaschi avrebbe inviato in prefettura un allarmato messaggio che rivelava la consapevolezza di chi fosse il reale nemico asserragliato a Villa Santinelli, per quanto lo sopravvalutasse quantitativamente: “Numero imprecisato ribelli, ma credesi oltre un centinaio”.
La compagnia della GNR di Città di Castello giunse alla villa alle 23.30 del 26 marzo. Gli ufficiali bussarono alla porta e chiesero di entrare per parlare con i Santinelli. Forse non si resero conto che erano proprio lì i ribelli che stavano cercando. Quando il sottotenente Filippo Faro tentò di forzare il portone di ingresso, dall’interno spararono una raffica di mitra e una pallottola lo ferì al fianco. Nel parapiglia che seguì i militi fascisti arretrarono e circondarono la villa, mentre i partigiani vi si barricavano.
Vi fu un primo, serrato, scontro a fuoco. L’armamento della banda assediata consisteva in 2 mitra (con 600-700 colpi a disposizione), 16 fucili (con una ventina di caricatori), 12 rivoltelle (con uno o due caricatori ciascuna) e circa 12 bombe a mano per ogni combattente.
Ma il cap. Ceccarani si rese conto che Villa Santinelli, edificio di imponente struttura, era inespugnabile senza l’ausilio di armi pesanti. Chiese dunque rinforzi e partì da Città di Castello una squadra mortai con altri militi. Intanto, informato del ferimento di Faro, raggiungeva la zona il seniore Pietro Gambuli. Ceccarani lo informò che per un nuovo assalto era opportuno attendere l’alba e ulteriori rinforzi da Perugia. Non sapeva come interpretare il lancio di alcuni razzi luminosi da parte dei ribelli: forse intendevano richiamare l’attenzione di altre bande, che avrebbero potuto prendere alle spalle gli assedianti.
La GNR aveva posto il comando di compagnia nella casa colonica prospiciente la villa. Vi si trovavano anche le moglie dei fratelli Santinelli, che i partigiani avevano allontanato dall’edificio, trattenendo i mariti.
Gli assediati cercarono di approfittare dell’oscurità per abbandonare la villa. Riferì l’episodio Sergio Lazzerini: “Tentammo di calare dalle finestre dei sacchi di farina legati a corde, perché se fossero giunti a terra senza destare l’allarme nel campo nemico, anche noi avremmo potuto seguire la stessa strada per fuggire […]”. L’idea si rivelò però irrealizzabile: “Ancor prima di giungere a terra i sacchi erano sistematicamente crivellati di colpi”.
Alle 5.45 giunse sul posto da Città di Castello la 4a compagnia di Ordine Pubblico, con due mortai. La battaglia riprese alle prime luci dell’alba e i fascisti cominciarono a lanciare colpi di mortaio verso la villa, mentre le mitragliatrici pesanti indirizzavano il loro fuoco contro le finestre.
Alle 6.30 il cap. Ceccarani fu ferito a morte alle spalle mentre effettuava un giro di perlustrazione intorno alla villa. Un milite fascista udì queste parole provenienti dall’interno dell’edificio: “Compagni, io il mio l’ho fatto, ho ucciso il capitano; ora tocca a voi fare il vostro, cercate di colpire gli ufficiali”. Mentre i commilitoni tentavano di prestare soccorso a Ceccarani, venne ferito a una gamba Lorenzo Rosati. Poi rimase ucciso un milite pugliese, Francesco Grassi. Lo raggiunse un proiettile alla testa mentre era appostato dietro una colonnetta del capanno sovrastante la scuderia. Reduce di Russia e medaglia d’argento al valor militare, il ventiduenne Grassi s’era arruolato nella GNR perché non poteva tornare al suo paese, che si trovava in territorio occupato dagli Alleati.
Gambuli ordinò al tenente Edoardo Scotti di assumere il comando del reparto di Ceccarani e inviò una staffetta per informare dell’accaduto il capo della Provincia Rocchi e far affluire ulteriori rinforzi. Alle 7.45 Scotti fece ancora bombardare con il mortaio la villa, ma senza ottenere lo sperato risultato di indurre gli assediati alla resa. Anzi, la loro capacità di resistenza stupì i fascisti: “[…] i ribelli si difendevano accanitamente, usando magistralmente parecchie armi automatiche”. L’attacco fu dunque sospeso.
Testo privo di note tratto da Alvaro Tacchini, La battaglia di Villa Santinelli e la fucilazione dei partigiani, Quaderno n. 12 dell’Istituto di Storia Politica e Sociale “Venanzio Gabriotti”, Città di Castello 2017.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.