Nell'immediato dopoguerra venne riconosciuto un sussidio ai militari che, in seguito al disgregamento del loro corpo di appartenenza dopo l'armistizio, scelsero di restare nascosti alla macchia, pur non entrando a far parte delle formazioni partigiane. Il cosiddetto “premio di sbandamento” in qualche modo riconosceva a questi militari il merito di essersi rifiutati di aderire alle forze armate del fascismo repubblicano e di combattere a fianco dei tedeschi.
Si tratta di un numero ingente di uomini. Lo provano i verbali delle commissioni comunali che tra il 1945 e il 1946 deliberarono la concessione del sussidio. A rivelare la vastità del fenomeno nell'Alta Valle del Tevere sono i dati, molto emblematici, dei tre comuni montani di Caprese Michelangelo, Pietralunga e Monte Santa Maria Tiberina. In questi territori si annidarono cospicue bande di partigiani e parecchi loro residenti vi aderirono. Tuttavia su quelle alture trovarono rifugio molti altri sbandati. A Caprese Michelangelo si possono quantificare in 137 coloro ai quali venne riconosciuto il sussidio. a Monte Santa Maria Tiberina gli “sbandati isolati”, non partigiani, furono almeno 53. Quanto a Pietralunga, presentarono richieste di sussidio una trentina di sbandati non partigiani.
Uno sguardo alle loro domande – in genere compilate con l'aiuto di un funzionario comunale – ci cala in questo mondo di fuggiaschi: “Sono vissuto sempre alla macchia per sfuggire alla cattura” (Dino Bagiacchi); “Mi tenni appartato e spesso nel bosco per non farmi prendere” (Isolino Bagiacchi); “Nei giorni di maggior pericolo ho dovuto vivere alla macchia da isolato e approvvigionato dalla mia famiglia” (Americo Valli); “Dovetti subito darmi alla montagna perché i tedeschi facevano continui rastrellamenti e vi rimasi fino alla loro ritirata dal territorio di Pietralunga” (Ottavio Bagiacchi). Alcuni sottolinearono di essere rimasti sbandati “per non servire il tedesco”.
Molto emblematica del clima dell'epoca e dei tormenti che spesso accompagnarono la scelta di rendersi irreperibili è la lettera inviata dall'artigliere ventenne Lorenzo Palazzoli al sindaco di Monte Santa Maria Tiberina. Scrisse: “Sorta la repubblica fui subito chiamato a farne parte. Le chiamate, le minacce, furono tante, come tutto Trevine può testimoniare. Alla mia famiglia le fu tolta la tessera di macinazione, le tessere dei grassi e le fu persino impedito di uccidere il maiale nel mese di gennaio. Restai per cinque mesi nascosto; ma in seguito, per impedire male peggiori mi presentai”. Dopo due mesi di servizio nella Guardia Nazionale Repubblicana di Città di Castello, Palazzoli tornò di nuovo e definitivamente alla macchia. Ne subì ancora le conseguenze la famiglia, che però tenne duro: “All'ufficio di Monte Santa Maria Tiberina fui denunciato come traditore, la mia famiglia fu minacciata, con l'imposizione, che se non mi avessero rimandato alla Bilinciana [termine dialettale con il quale veniva identificata la milizia fascista repubblicana], avrebbero portato via mio padre e nonostante tutto ciò i miei e io fummo fermi nella decisione presa e non mi presentai più sebbene con grave rischio della mia vita e dei miei cari”. Palazzoli infine ribadì le ragioni della sua richiesta di sussidio: “Sono rimasto quindi sette mesi sempre alla macchia, senza poter fare nessun lavoro, correndo gravi pericoli, mentre molti dei miei compagni non sono mai stati ricercati e potevano accudire al loro lavoro”.
Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell'Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.