Altri e gravi problemi si ponevano per l’avvio della ricostruzione e il ripristino delle attività produttive. Pressoché tutti gli uomini validi erano al fronte e il peso della guerra finiva con il gravare ancora di più su una popolazione ormai allo stremo. E già si erano avuti preoccupanti segnali di malcontento.
In tale scenario, tutte le amministrazioni comunali altotiberine richiesero di esonerare temporaneamente dal servizio militare la mano d’opera essenziale per i lavori di ricostruzione; bisognava effettuarli prima dell’inverno, perproteggere dalle intemperie, insieme alla gente, il bestiame e i prodotti del suolo raccolti. Necessitavano capomastri, muratori, manovali, barrocciai, fornaciai, fabbri, falegnami. Ma le autorità militari concessero un numero di esoneri assai inferiori alle aspettative: una trentina per ciascun comune ad Anghiari, a Città di Castello e a Sansepolcro. La durata degli esoneri inoltre era di soli tre mesi, insufficienti per i lavori da fare; fu quindi necessario esercitare continue pressioni sulle autorità militari per ottenere delle proroghe. Da Citerna partì la richiesta per 10 esoneri temporanei; 8 riguardavano militari che di mestiere facevano il muratore, poi c’erano un falegname e un vetturale. Ma dalla documentazione non si evince quanti esoneri siano stati effettivamente concessi.
Il Comune di Città di Castello, quando seppe che solo un terzo dei richiesti era stato esonerato dal servizio militare, non esitò a prefigurare i rischi politici e sociali di tale scelta: se non si fossero intensificati i lavori in previsione dell’inverno, si sarebbe aggiunta “una gravissima causa di disagio alle tante che travagliano questa popolazione, con pericolo minaccioso per l’ordine pubblico”. Un dato riferito al comune di Sansepolcro illustra la vastità dei danni arrecati dal terremoto alle case dei soldati al fronte: sulla base delle verifiche del Genio Civile, ammontavano a circa 900 le famiglie di richiamati danneggiate dal sisma.
Per quanto riguarda il patrimonio artistico, fu Citerna a subire i danni più rilevanti. Due giorni dopo il terremoto, il Soprintendente ai Monumenti per l’Umbria informò il ministro dell’Istruzione che solo Citerna aveva “gravemente sofferto” dal punto di vista architettonico; tuttavia poté tranquillizzare sulle condizioni delle opere d’arte: “fino a questo momento sono salve”.
Una settimana dopo un ispettore della Soprintendenza redasse una relazione dettagliata, secondo la quale tutte le chiese, tranne San Francesco, erano “completamente rovinate”. La chiesa di fine ‘600 diSan Giacomo presentava parte della facciata diroccata e “il tetto e le volte precipitati nell’interno, travolgendo ed abbattendo tutto”; però si era salvato il gruppo in terracotta del ‘400. La chiesa settecentesca di Sant’Elisabetta, annessa all’omonimo monastero, aveva i muri e le volte squarciati e avrebbe dovuto essere demolita. Era ridotta un ammasso di rovine anche la chiesa di San Michele Arcangelo. Nella chiesa del Sacramento, la rovina di due delle tre campate a volta aveva danneggiato tutti gli altari. Fu immediatamente demolita la chiesa della Concezione: erano caduti il campanile, parte della facciata e il tetto. Tuttavia venne prima distaccato dalla parete dell’altare un altorilievo robbiano in terracotta smaltato rappresentante la Vergine col putto e angeli; sebbene il putto fosse andato in frantumi, il recupero dei pezzi ne avrebbe reso possibile il restauro. Nella chiesa del Crocifisso degli Osservanti era precipitato parte del portico cinquecentesco davanti alla facciata e si notavano gravi lesioni alle pareti e alle volte, con una parziale rovina degli affreschi coevi; per fortuna non avevano subito gravi danni le principali opere d’arte: la pala del Pomarancio, il coro e i banconi intarsiati della sagrestia. Quanto alla chiesa di San Francesco, risultava la meno danneggiata, per quanto la facciata avesse urgente bisogno di restauro per le serie lesioni.
A settembre, l’ispettore ai monumenti della Soprintendenza comunicò che, per la carenza di personale dovuta alla guerra, non poteva al momento “inviare persona capace di restaurare le terrecotte robbiesche guaste dal terremoto” e invitò a sistemarle in luogo sicuro. Il commissario prefettizio di Citerna Ruggero Lischi, nominato in tale carica il 28 aprile, rispose che le terrecotte erano state consegnate al priore don Eugenio Fattorini e che il Genio Civile aveva già provveduto a riparare “i danni alla cornice in terracotta smaltata dietro la statua della Vergine”.
Riguardo ai beni artistici, vi fu apprensione per il destino del pregevole affresco della “Madonna del Parto” di Piero della Francesca, sito nella periferia di Monterchi e sopravvissuto al sisma. La notizia del suo trasferimento ad Arezzo mise in allarme i monterchiesi, che si preoccuparono ancor più quando il commissario prefettizio di Sansepolcro chiese che l’opera fosse “consegnata a questo Comune patria del sommo pittore per essere conservata in Pinacoteca”. Il Soprintendente della Toscana però tranquillizzò la popolazione: “L’affresco della Madonna del Parto di Piero della Francesca fu tolto dalla pericolante cappella del cimitero di Monterchi per sola misura di sicurezza: non essendovi dubbio che non appena le circostanze lo consentano debba tornare nel luogo per cui fu dipinto e dove stette fin dall’origine. Esso ora trovasi depositato in una stanza di una casa alle Ville Monterchi”.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.