Nella notte dal 6 al 7 giugno, quando ormai si era esaurito il rastrellamento sull’Alpe della Luna e a valle i tedeschi si apprestavano a catturare giovani uomini in età di lavoro da deportare in Germania, un evento di tutt’altro segno ebbe luogo dall’altra parte del Tevere, sull’Alpe di Catenaia. Radio Londra aveva già trasmesso i messaggi che preannunciavano il lancio dei rifornimenti aerei da parte delle forze alleate: “la città del giglio”, “Gianni aspetta il regalo”, “la Patria ci chiama”. Immediatamente i partigiani delle varie bande erano accorsi sui Prati della Regina per formare grandi triangoli con mucchi di legna. La sera del 6 giugno giunse il messaggio “la Patria si serve”: il lancio sarebbe stato di lì a poche ore. Domenico Galli racconta che gli aerei alleati sorvolarono i Prati della Regina per 4 o 5 volte e “iniziò una vera pioggia di paracadute che, con appesi i contenitori, si afflosciavano rumorosamente al suolo”. Le bande partigiane poterono così distribuirsi 62 mitra Stengam con abbondanti munizioni e 200 bombe a mano del tipo ananas – quindi armamento leggero adatto a combattimenti ravvicinati – tritolo con micce e detonatori, materiale sanitario, capi di vestiario, un centinaio di scatolette varie, tra cui barattoli di tè (“nessuno di noi sapeva di che roba si trattasse”).
L’incremento dell’armamento mise i partigiani nelle condizioni di intensificare la pressione sulle vie di comunicazione. Nei giorni successivi si verificarono diverse azioni di disturbo, con qualche attacco a mezzi tedeschi, sulle strade della Libbia e de La Verna e sulla Tiberina 3Bis da Montedoglio a Pieve Santo Stefano. Se corrispondono a verità i dati riportati da Antonio Curina, in tre agguati effettuati nella prima decade di giugno i partigiani uccisero cinque tedeschi e ne ferirono altrettanti. Le azioni più consistenti videro protagonista il Distaccamento Lubiana. Nello stillicidio di sabotaggi, di interruzioni stradali e di agguati che attuò nella zona per circa dieci giorni dal 18 giugno, la formazione mise poi in campo complessivamente 33 uomini, tra cui quattro italiani.
I tedeschi sfogarono su vittime innocenti la loro rabbia per l’accresciuta aggressività partigiana il 14 giugno, lungo la strada tra Caprese Michelangelo e Pieve Santo Stefano. Soldati di passaggio su un camion uccisero sulla via provinciale i fratelli di Fragaiolo Elmo e Quinto Romolini. Commerciavano in uova e legname e stavano scendendo a piedi di primo mattino a Pieve Santo Stefano per il mercato. A poca distanza furono colpiti a morte altri due uomini del tutto ignari del pericolo che incombeva: il bracciante Domenico Bragagni e il boscaiolo e carrettiere Luigi Veri, entrambi pievani. Lasciarono famiglie in povertà, sulle quali si sarebbero abbattute anche le sciagure del passaggio del fronte: la moglie e i tre figli di Veri ebbero distrutta la casa e rubato il bestiame dai tedeschi. Quel 14 giugno in uno scontro a fuoco presso Chiusi della Verna dei partigiani avevano ucciso un tedesco. Tanto bastò perché i loro commilitoni scatenassero la loro rabbia contro la popolazione inerme di Chiusi – dove vennero ammazzate dieci persone – e quanti incontrarono per la strada che scende a Pieve Santo Stefano.
L’indomani, 15 giugno, in tal caso per opera dei fascisti, venne ucciso nel carcere di Arezzo il parroco di Casenovole di Anghiari don Giuseppe Tani. Era stato arrestato alla fine di maggio insieme al fratello avvocato Sante e ad Aroldo Rossi, entrambi partigiani aretini rifugiatisi nella sua canonica. A lungo sottoposti a interrogatorio e torturati in carcere, i tre prigionieri furono fucilati insieme a tre partigiani che tentarono di farli evadere.
Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.