La banda del “Russo”

All’inizio di maggio 1944 si formò la banda destinata ad esercitare una forte influenza nelle vicende della Resistenza nel territorio di Anghiari. Quando la formazione di “Tifone” si mosse verso il Monte Falterona, alcuni feriti impossibilitati a seguire i compagni furono alloggiati e assistiti dal comitato clandestino anghiarese a Montemercole, sulle alture a occidente del paese. Raggiunsero quel rifugio anche altri partigiani di “Tifone” che si erano dispersi dopo lo scontro a fuoco con i nazi-fascisti. Lì decisero di costituire una nuova banda insieme a un giovane russo, che probabilmente già si trovava alla macchia nella zona e che fece subito valere il suo carisma. Il comitato vi fece affluire alcuni partigiani anghiaresi e altri che in quel momento si trovavano sbandati. Sorse così la formazione detta del “Russo”. Poco più che ventenne, è identificato nei vari documenti come Vassili, Vasilis, Vasilio o Basilio. Renzo Martinelli lo ricordava “piccolo, massiccio, gli occhi a spiraglio profondamente incisi, la fronte bassa”, di idee comuniste. Militare forse originario di Odessa, era stato catturato – c’è chi dice dai tedeschi, chi dagli italiani – e sfuggito non si sa bene in quali circostanze alla loro custodia, fino a giungere sulle montagne altotiberine. Si faceva ben capire in italiano e s’impose nel gruppo per i modi decisi che sfociarono nell’autoritarismo. Era – scrisse Giuseppe Bartolomei – “uno di quei caratteri duri e fortemente ideologizzati, che vanno avanti senza tentennamenti, in modo che appare perfino spietato, perché la causa passa avanti a tutto”.

La banda prese il nome pure dal casolare – Caciari – dove avevano trovato rifugio alcuni giovani anghiaresi, e fu associata, oltre che a Montemercole, anche alla limitrofa Stabbielle. Le testimonianze coeve sottolineano il ruolo di preminenza che, a fianco del “Russo”, vi ricoprì Matteo Tagliaferri, detto “Tito”, esponente del comitato clandestino. Vi confluirono nella prima metà di maggio 15 partigiani anghiaresi. Erano Giuseppe Angioloni (“Lodolino”), Tristano Cambi, Ettore Cangi, Enrico Cavallucci, Giuseppe Del Sere, Tersilio Falsetti, Domenico Gorini, Giuseppe Livi, Guido Merendelli (“Raschiata”), Mario Moretti, Giuseppe Pernici, Faliero Piccini, Pedro Resti (“Rossino”), Antero Scimia (“Tigre”) e Bruno Zanchi. Scimia e Resti erano stati tra i primi a rifugiarsi a Caciari, assumendo un ruolo di preminenza nel gruppo.

La banda arrivò a contare dai 25 ai 30 uomini, 8 dei quali stranieri, tra cui degli slavi e un disertore tedesco. Secondo la testimonianza di Giuseppe Livi, su indicazione del comandante della “Pio Borri” Siro Rosseti egli raggiunse la formazione a Montemercole verso la fine del mese, assumendo l’incarico di commissario politico e conducendovi il militare sardo Pietro Manca. A quel punto si formarono due squadre: una con sede a Stabbielle e poi a Tortigliano, composta dagli elementi stranieri e comandata dal “Russo” – che comunque manteneva il comando generale –; l’altra formata dagli italiani e guidata da Manca.

A maggio questa formazione non attuò alcuna azione militare, ma si preparò per poter presidiare le alture a ridosso della strada della Libbia, che collega l’Alta Valle del Tevere ad Arezzo, e rendervi pericoloso il transito dei convogli nazi-fascisti. Non ebbe rapporti con i partigiani dell’Alpe di Catenaia. Geloso della sua indipendenza e insofferente agli ordini, il “Russo” rigettò ogni proposta di raccordarsi con il comitato di liberazione aretino e con la “Pio Borri”. Ciò, come si vedrà, avrebbe provocato situazioni di grande pericolo.

Per quanto isolato dal resto del movimento resistenziale, il “Russo” mantenne sempre un saldo controllo della banda, che rimase un punto di riferimento per gli antifascisti della zona. Il comitato clandestino di Anghiari, proprio perché – come affermò Francesco Rumori – essa era “costituita in prevalenza da elementi paesani nostri”, finì con il dedicarle le sue principali attenzioni, inviando armi, munizioni, viveri e calzature. E gli archivi conservano tracce delle connivenza di famiglie del luogo con i partigiani. Alba Botticelli Pernici, di 23 anni, offrì loro molto più che ospitalità a Pianettole: “Nella sua casa si riunivano, molto di frequente, i comandanti delle bande e alcuni slavi vi soggiornavano abitualmente; inoltre serviva da collegamento fra questi e il resto della banda”. Anche la casa del coetaneo Filippo Brilli, a Casale, fu “spesso asilo dei partigiani che operavano nella zona di Montemercole”.

 

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.