Tessera del Fascio Repubblicano di Città di Castello.
Richiamo alle armi della Guardia Nazionale Repubblicana.

Infiltrati nella Guardia Nazionale Repubblicana tifernate: la “Formazione Bertolino”

Un aspetto poco noto della Resistenza altotiberina è il ruolo esercitato da un nucleo di infiltrati nella Guardia Nazionale Repubblicana. Il sergente maggiore Gerolamo Allegretti vi si arruolò su indicazione del colonnello Vincenzo Bertolino. Capo ufficio del Comando Scuole Centrali Militari a Città di Castello, Bertolino vi era di servizio al momento dell’armistizio, quando già manteneva contatti con gli ambienti dell’antifascismo. Allegretti avrebbe dovuto diventare uomo di fiducia del comandante del presidio tifernate della GNR, Dorando Pietro Brighigna, per poter meglio condurre una costante azione di spionaggio e di sabotaggio dell’arruolamento giovanile e di eventuali azioni repressive. Insieme ad Allegretti, all’inizio di ottobre si infiltrò nella milizia locale un altro sottufficiale, il sergente maggiore Francesco Virgillo. Questa prima cellula clandestina antifascista nel seno della GNR di Città di Castello avrebbe contato successivamente sull’apporto del capitano dell’aeronautica Raul Gasole, del capo radiotelegrafista Vittorio Masella, di Fabio Fantini, di Ciro Colelli e di Francesco Lelli. Nota come “Formazione Bertolino”, si tenne segretamente in contatto a Roma con il maggiore Luigi Rocchi, comandante del Raggruppamento Patrioti “Gran Sasso”.

Fino al febbraio 1944 Allegretti riuscì a far svolgere alla milizia fascista tifernate il semplice compito di polizia annonaria: “Non si fecero da mattina a sera che compilare verbali di sequestro di generi contingentati e razionati”. Sebbene alcuni fascisti premessero perché la GNR arrestasse i genitori dei giovani alla macchia e dei militari notoriamente antifascisti, Allegretti convinse Brighigna ad evitarlo. Nel contempo preavvertì dell’arresto, agevolandone la fuga, alcuni ufficiali e sottufficiali sui quali si addensavano i sospetti del regime ed ebbe modo di distruggere richieste di informazioni inviate dal comando superiore e “lettere anonime che parlavano di bande di partigiani e loro sedi, luoghi dove si nascondevano i disertori e prigionieri evasi dai campi di concentramento”. Quando Allegretti ricevette l’incarico di organizzare l’arruolamento, si adoperò per reclutare giovani che risultavano renitenti alla chiamata alle armi o al servizio di lavoro o addirittura disertori, tanto che i superiori finirono con il redarguirlo. Avrebbe poi riferito: “Questi che si arruolavano appartenevano quasi tutti a classi chiamate alle armi ed al servizio di lavoro ed erano tutti di Città di Castello o dei dintorni, i quali, per non allontanarsi dalle famiglie, preferivano la Milizia. Però, alla prima notizia di partenza, molti disertavano e si aggregavano a bande di partigiani portando via l’armamento e l’equipaggiamento. Non pochi erano i militi che avevano fratelli fra i partigiani ed erano questi stessi che frequentemente li rifornivano di armi o munizioni”. La “Formazione Bertolino” vantò di aver aiutato a disertare 13 militi di Città di Castello, con armi ed equipaggiamento, solo nei primi tre mesi del 1944.

La situazione si fece più difficile per gli infiltrati e i loro collaboratori a febbraio. La riorganizzazione dell’Ufficio di Polizia Investigativa portò alla intensificazione del ruolo repressivo della milizia e a un controllo più severo degli antifascisti. Inoltre, per la fusione della GNR con i carabinieri, giunse la disposizione di assegnare dieci militi a ogni stazione della tenenza di Città di Castello. Allegretti e i suoi complici fecero in modo, per quanto possibile, di inviare militi che mostravano di non condividere l’ideologia fascista. Costoro svolsero un ruolo di moderazione, talvolta preavvisando quanti rischiavano l’arresto. Inoltre, quando a primavera i partigiani avrebbero attaccato i presidi per disarmarli, si sarebbero arresi senza combattere.

Al comando del presidio della GNR tifernate prestavano servizio un centinaio di militi; altri 350 generalmente appartenevano al centro di addestramento della milizia istituito in città. Gli infiltrati della “Formazione Bertolino” non sarebbero mai stati smascherati: continuarono a indurre giovani reclute alla diserzione, favorirono l’evasione dal carcere di alcuni patrioti, prevennero l’arresto di altri e tessero rapporti di complicità soprattutto con le bande partigiane di Morra e di Monte Santa Maria Tiberina.

Tutti i componenti della “Formazione Bertolino” furono riconosciuti partigiani combattenti con decorrenza dal 30 settembre 1943.

Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.