Volontari tifernati in combattimento.
Memo Gustinelli
Rodolfo Colautti
Tedeschi presi prigionieri da soldati italiani del "Cremona".

L’ardimento dei volontari

Le motivazioni di alcune delle medaglie al valore assegnate ai volontari altotiberini aprono squarci sui combattimenti del 2-3 marzo 1945, che rappresentarono il primo significativo successo militare del Gruppo di Combattimento “Cremona”. Il tenente Enrico Ferri (medaglia d’argento) assunse la guida della sua compagnia quando vide cadere ferito il comandante; in quel critico momento, “imbracciato un fucile mitragliatore e postosi alla testa dei più ardimentosi, raggiungeva e travolgeva le difese nemiche, riuscendo a catturare numerosi prigionieri e bottino di armi”. Nell’attacco a una postazione fortificata tedesca, il sergente Livio Dalla Ragione (medaglia d’argento) catturò tre tedeschi; poi, “visto un fante cadere ferito in un luogo scoperto e battuto dal fuoco nemico, senza indugio si portava presso di lui e caricatoselo sulle spalle lo conduceva al coperto”. Altruismo e coraggio di cui fece ampio sfoggio il fante Gualtiero Gustinelli (detto “Memo”, medaglia d’argento), “sempre tra i primi nelle azioni più rischiose” nonostante avesse 33 anni e fosse padre di tre figli. Durante un attacco, di sua iniziativa Gustinelli “si portava col fucile mitragliatore in luogo scoperto ed avanzava ed eliminava con il secondo colpo un centro di fuoco”. Visto poi cadere gravemente ferito il portamunizioni, “lo trasportava in luogo coperto attraversando una zona battuta, dopo di che ritornava al proprio posto di combattimento ed animava i compagni con l’esempio del suo coraggio e del suo ardore”. Infine, “stremato di forze dopo due ore di combattimento, sveniva vicino alla sua arma e, rianimatosi, non permetteva di essere sostituito”. E il caposquadra dei fucilieri Guerriero Leonardi (medaglia d’argento): “Ferito da pallottola che gli amputava un dito, al comandante di plotone che voleva avviarlo al posto di medicazione rispose: ‘Sig. Tenente, ho ancora nove dita per fare fuoco’”. Leonardi continuò a combattere e solo il mattino successivo lo costrinsero a lasciare la prima linea.

L’ardimento talvolta inibiva ogni paura. Come quando Antonio Migliorati (medaglia d’argento) si lanciò contro una postazione difensiva tedesca imbracciando il fucile mitragliatore: “Dopo alcune cariche inceppatasi l’arma, con superbo coraggio si lanciava sul nemico lanciando bombe a mano e riusciva a catturare due prigionieri. Subito dopo imbracciato un altro mitragliatore, in piedi e completamente allo scoperto, inseguiva il nemico che ripiegava, infliggendogli gravi perdite”. Tanto coraggio metteva a repentaglio la vita. La motivazione della medaglia di bronzo al caposquadra Rino Pucci ne racconta la morte: “[…] passato il suo reparto all’attacco, si sostituiva ad un tiratore di fucile mitragliatore rimasto ferito e, mentre fra i primi si dirigeva sull’obbiettivo, cadeva mortalmente ferito da raffiche di mitragliatrice”.

Del sentimento patriottico che animava i volontari si fece interprete Rodolfo Colautti – già partigiano nella banda di Morra – in una lettera alla moglie: “Non stare in pensiero per me: io sono sempre pronto a combattere per una nuova Italia libera dagli oppressori […]. Sono orgoglioso di poter gridare in faccia ai miei amici fifoni: ‘Ho combattuto! Ho visto tanti miei amici morire per quell’ideale pel quale anche io son pronto a dare la mia vita!’ Prega Iddio che mi assista in queste poche ore di sofferenza prima di poterci riunire. Non vedo l’ora di rivedere la nostra cara Carla [la figlia] che sarà cresciuta e fatta carina”. Colautti spedì la lettera il 4 aprile; morì cinque giorni dopo.

Un’altra testimonianza dei duri combattimenti sul fronte romagnolo l’hanno lasciata alcuni volontari di Pieve Santo Stefano. Il piccolo nucleo della cittadina toscana ebbe un caduto, dei feriti e dei prigionieri: “Nel settore di Savarna presso Casa Lolli, Casa Matteucci, Casa Martini e Casa Giazzol, operava la 3a compagnia comandata dal capitano Silvestro De Simone e dall’allora tenente Donnini Aldo, poi generale. In un furioso combattimento perse la vita, colpito al cuore, Bruno Cipriani; nel seguente combattimento rimasero feriti Cangi Armando, ad un braccio, [e] Mencherini Augusto, una pallottola gli trapassò un polmone; rimasero poi prigionieri Piero Pagnoncelli, Seri Terzilio, Rossi Luciano, Francesco Manfroni; poi in un altro combattimento fu gravemente ferito e fatto prigioniero Pellegrini Aurelio”.

Il 10 aprile il “Cremona” liberò Alfonsine. Sarebbe rimasto indelebile nei giovani combattenti il ricordo dell’accoglienza festosa della popolazione, da lungo tempo intrappolata in precari rifugi e ormai allo stremo delle forze: “Vedere quella gente piangere dalla gioia”, scrisse ai famigliari Livio Dalla Ragione, “gettarci fiori, colmarci di gentilezze era una scena commo­vente. È il primo paese liberato dagli italiani… Come è bello, mamma, poter libe­rare da un giogo di schiavitù della gente!”.

Anche nello sfondamento della linea difensiva tedesca sul fiume Santerno, il 13 aprile, si distinsero dei combattenti altotiberini. In particolare il già decorato Antonio Migliorati. Le postazioni nemiche di mitragliatrici e mortai sull’argine occidentale del Santerno, oltre ai campi minati, resero assai ardua l’avanzata dei reparti del “Cremona” e li inchiodò sull’argine opposto. Per eliminare i centri di fuoco germanici e superare così l’impasse, il comandante di compagnia avanzò con una pattuglia di cui facevano parte alcuni tifernati. Ecco la testimonianza di uno di essi: “Dopo qualche minuto il Migliorati si è lanciato in avanti ed è penetrato dentro la munitissima postazione tedesca riuscendo a catturare un ufficiale tedesco e qualche soldato. Il capitano l’ha seguito e gli altri sono rimasti sopra l’argine a titolo di protezione. L’esempio dell’ufficiale tedesco è stato seguito da molti altri che dopo quella reazione si sono arresi. Totale dei prigionieri circa 60”. Al termine della coraggiosa azione, che gli valse la seconda medaglia d’argento, Migliorati fu ferito da una mina.

Nei giorni successivi l’avanzata dello schieramento alleato divenne inarrestabile e il “Cremona” passò il Po, quindi l’Adige e infine raggiunse Venezia. La liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo era un fatto compiuto.

Alcuni volontari altotiberini si arruolarono nel Gruppo di Combattimento “Legnano”. Con esso furono schierati sul fronte emiliano a meridione di Bologna, nella valle dell’Idice. Il 10 aprile, nella battaglia di quota 459, a Vignale, cadeva valorosamente l’umbertidese Giuseppe Starnini. Ecco la motivazione della sua medaglia d’argento: “Partecipava con una pattuglia ad un rischioso colpo di mano contro un munito ed importante caposaldo nemico. Raggiunto tra i nemici l’obiettivo, con impareggiabile bravura assaliva ed annientava l’avversario che rifiutava di arrendersi. Individuata una postazione nemica, piombava su di essa e benché gravemente ferito da una raffica di mitragliatrice, riusciva ancora a centrare l’obiettivo con una bomba a mano. Rifiutava quindi ogni soccorso fino al termine dell’azione”. Starnini morì per le ferite venti giorni dopo all’ospedale della Croce Rossa Italiana di Firenze. Intanto, abbattute le difese tedesche, il “Legnano” era avanzato verso Brescia e Bergamo.

 

Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.