Nel Gruppo di Combattimento “Cremona”, quello più bisognoso di colmare i vuoti negli organici, fu per quanto possibile concesso alle disciolte formazioni partigiane di ricostituirsi al suo interno e con i propri comandanti. Il gruppo più numeroso dei tifernati formò il “Plotone Montebello”, nella 1a compagnia del 21° fanteria; un altro fu nei ranghi della 2a compagnia. Il capitano Stelio Pierangeli entrò nel comando del 1° battaglione per mantenere i collegamenti fra i vari gruppi.
La forte motivazione dei volontari, uniti dallo spirito di corpo maturato durante la Resistenza, garantì ai reparti slancio e compattezza. Non fu però semplice amalgamarli. Avrebbe raccontato il colonnello Ettore Musco, comandante del 21° reggimento: “Chi non abbia visto coi propri occhi come si presentò quel contingente di [volontari] all’atto del suo arrivo ai reggimenti d’assegnazione, non può essere in grado di valutare con piena conoscenza di causa come tale trasformazione sia stata un’impresa dei quadri – ufficiali e sottufficiali – ben degna d’essere definita eroica”. Da un lato i militari erano urtati dalla marcata politicizzazione degli ex-partigiani, per lo più di idee social-comuniste; dall’altro questi ultimi mal sopportavano la disciplina militare. Ma il coraggioso esperimento ebbe esiti positivi. Sottolineò Musco: “Lo slancio ardimentoso senza limiti e il più vivo spirito agonistico dei volontari non tardarono ad armonizzarsi con la più salda coesione disciplinare, con l’ammirevole sobrietà e con la straordinaria resistenza fisica dei soldati regolari”.
Il contingente altotiberino raggiunse il Gruppo di Combattimento “Cremona” quando era già in linea nel settore adriatico a fianco dell’VIII Armata britannica. Il battesimo del fuoco fu il 2 marzo a Casa dei Venti, presso Ravenna. Costò la vita a Gualtiero Perugini, diciottenne di Città di Castello, e a Giuseppe Battaglia, un diciassettenne di Roma arruolatosi con i tifernati. I combattimenti del giorno dopo videro morire due umbertidesi: lo studente universitario Rino Pucci e Giuseppe Rosati. Diversi uscirono feriti da quei due giorni di battaglia. Le decorazioni al valor militare assegnate ai volontari altotiberini – alla fine della guerra saranno sette medaglie d’argento e sette di bronzo – costituiscono la più concreta testimonianza della loro motivazione e del loro coraggio.
Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.