Assunta Pierleoni con il marito Giovanni Celestini.
Foto giovanile di Assunta con i genitori.

Pierleoni Assunta. Una contessa fascista

Di antica e nobile famiglia tifernate Assunta Pierleoni (1905-2015) non amava ostentare quel titolo di contessa che pure le appartiene. Donna laboriosa ed energica, ha seguito con vigore gli interessi di famiglia quasi fino alla morte. È sempre vissuta nella frazione tifernate di San Secondo, circondata dall’affetto e dalla riconoscenza della comunità.
I suoi ricordi del Ventennio sono di una donna che fu convinta fascista e che recitò pure un ruolo attivo nel regime.

Lei aveva 16 anni quando gli squadristi fascisti ridussero all’impotenza il movimento dei lavoratori a Città di Castello. Anche lei, a quell’epoca, condivideva le paure di quei proprietari terrieri che sostennero il fascismo per frenare l’avanzata del partito socialista e la crescente forza delle leghe contadine?
“Tutti i contadini erano bolscevichi. Noi avevamo qualche podere. Anche i nostri contadini facevano parte della lega. Al tempo di Bonavita [il candidato dei socialisti alle elezioni politiche, tra il 1903 e il 1913, nda] ci dettero fuoco al pagliaio. Mentre mio babbo correva a spegnere l’incendio, Bista del Fattorino prese il fucile… Questo era il bolscevismo. Mi ricordo di aver visto battere il grano con la bandiera rossa sopra il pagliaio. Ricordo anche che del ‘20 i socialisti aggredirono i cattolici: loro erano più bravi a menare le mani; ai cattolici li chiamavano ‘finocchi’ per spregio. Il Fascio fu soprattutto contro il bolscevismo; noi proprietari terrieri entrammo nel Fascio per avere le spalle coperte. Si dava anche dei soldi. Era la nostra ancora di salvezza”.
E cosa successe a quei contadini comunisti durante il regime?
“Parecchi contadini rimasero comunisti. Però durante il periodo del Fascio stavano zitti, se no ne buscavano. Bisogna dirla com’è… I fascisti adoperavano l’‘asse di bastoni’. Gli squadristi cantavano questo ritornello: ‘Rometti e Guardabassi [due dirigenti della sinistra di Umbertide, nda] / giocavano a scopone / arrivano i fascisti / con l’asse di bastoni / bombe a man / carezze di pugnal’”.
Du’ bote?  De  bote gni l’han dète parecchie, ai bolscevichi. Era  ‘n  affare brutto. All’inizio è stato bolscevismo, non socialismo, né comunismo.
Anche suo marito, Giovanni Celestini, un piccolo possidente, era uno squadrista.
“Si, era squadrista, ma la violenza non gli piaceva. A qualcun altro invece sì… Mio marito era ufficiale della Milizia ed era impiegato in comune al dazio. Aveva un ufficio al quale ricorrevano  tutti per dei favori in quel periodo di penuria. Lui aiutava; era di sentimento buono, mio  marito”.
In effetti la storia di Assunta durante il fascismo ha ben poco a che vedere con la violenza squadrista. Come segretaria del Fascio Femminile di San Secondo, infatti, fu una delle artefici di quel forte impegno dispiegato dal regime nel campo dell’assistenza; una politica che contribuì ad allargare il consenso.
“Il Fascio Femminile aveva l’unico scopo di assistere i bambini e i bisognosi. Il Duce lo diceva: il Fascio Femminile non è stato creato per fare a schioppettate, ma per assistere chi ha bisogno. Allora c’era la fame, quella vera. C’era la povertà in tutto e per tutto. Si organizzava la Befana Fascista. Si faceva l’elenco dei bisognosi e gli si distribuiva dei grandi pacchi dono. Ci si metteva pasta, caffè, zucchero, vestiario, qualche giocattolo; un po’ di tutto. Li si confezionavano noi donne fasciste, e ci si faceva aiutare dai preti. Si davano dei pacchi dono anche a Pasqua. Poi il Fascio Femminile organizzava le colonie, controllava che i ragazzi andassero a scuola, e se c’era una ragazza in cinta, la si faceva sposare a tutti i costi. Poi si dava una mano all’Opera Balilla. La domenica c’era la messa al campo, lì alla Pubblica Assistenza, e si costringeva tutti a venire. Durante la guerra, si faceva da segretarie alle mogli che avevano il marito in guerra o prigioniero: c’era tanto analfabetismo. Come fascista ho fatto del bene. Nessuno m’ha insultato dopo, perché ero stata segretaria del Fascio femminile, per 18 anni”.
Chi si dedicava al Fascio Femminile?
“C’erano donne benestanti, ma anche qualche contadina. A San Secondo eravamo in 13 o 14; la sede era in casa Mariottini. La segretaria del Fascio di Castello era la maestra Adalgisa Mancini Grifani, intelligentissima; la capozona era Angiolina Dernini, la moglie del dottore: quante medicine si riusciva ad avere tramite lei!”.
Assistevate anche quelli che sapevate essere comunisti?
“Sicuro. Avevamo anche un profondo senso religioso. Si rispettavano le idee di quelli che sotto sotto rimanevano comunisti; si sapeva che prendevano la tessera del Fascio, ma restavano comunisti. Però ci disturbava che prendessero i pacchi dono per i loro bambini anche se erano antifascisti. Gli si diceva che ‘magnèono a la nostra grèppia’. Se erano antifascisti, dovevano rifiutare i nostri pacchi omaggio. Ma loro zitti… I contadini fanno così: ‘servono ‘l chène e ‘l padrone’”.
Cosa facevate il Sabato fascista?
“Le manifestazioni erano a Castello. Ci si andava col treno, o con il cavallo. Qui a San Secondo c’era la premilitare per i ragazzi. Mio marito faceva parte della milizia fascista ed era della premilitare. Si metteva la divisa, per bene, poi radunava i ragazzetti, faceva un discorso su quello che era avvenuto nella. Io avevo il Fascio femminile, il mio marito il Fascio maschile. Si comandava tutto noialtri”.
Com’era il rapporto tra Chiesa e regime dalle nostre parti?
“È sempre stato buono. Ma qualche volta c’era concorrenza. E poi c’era papa Pio XII, che non era un cavolo di buono. Glielo fico io perché: ce la voleva col Fascio, prima cosa, e ce la voleva con Mussolini, perché s’era sposato da vecchio”.
E il vescovo Carlo Liviero?
“A lui non piacevano gli estremi, e noi eravamo estremisti. Era un contadino di lassù… profondamente cristiano… Lui era per la Chiesa. Considerava il fascismo come un concorrente scomodo. Non mi era simpatico”.
E il suo successore, Filippo Maria Cipriani. Si mostrò più “morbido” verso il fascismo?
“Cipriani sì. Però diceva che il fascismo è una cosa che bisognava sopportare perché non era eterna. L’ha detto proprio a me: ‘Bisogna sopportarvi, perché il fascismo non è eterno’”.
Uno fascista convinto era mons. Enrico Giovagnoli!
“Beh, Giovagnoli per noi era un mito. Valeva culturalmente. Quando il Fascio lo chiamava, lui veniva sempre. Gli piaceva il Duce perché era un uomo venuto dal nulla. Però era ambiguo anche lui. Diceva che le cose come il comunismo e il fascismo non durano, passano”.
Un cattolico a voi ostile era Venanzio Gabriotti?
“Uhh, terribile! Gabriotti era terribile, il peggiore contro il fascismo. Era un arrivista. L’ho conosciuto bene. Ho un buon ricordo di lui, ma non tanto; non so perché. Il Fascio organizzava l’assistenza, e la si faceva insieme ai cattolici. Per questo avevamo contatto con Gabriotti. Era un uomo di un’intelligenza superiore. Cattolico, ma non beghino, c’è una gran differenza. Aveva una gran fede, una ampia apertura mentale e un cuore immenso. Non abbiamo mai avuto problemi con lui, noi donne fasciste. Noi avevamo bisogno di lui e viceversa. Ci ha aiutato anche nei momenti di tensione con  la  Chiesa. Si sapeva che era antifascista, ma lui non era settario, non provocava e sapeva vedere il bene che noi facevamo. Non abbiamo mai avuto scontri con lui”.
Scontri ne avete avuti, invece, con don don Bista Battilani a Canoscio, qui vicino.
“Che peste! Che peste! I fascisti gli dicevano ‘Battilculo’. Lui provocava, ma le ha anche prese… ‘To,  Batilèni,  devi  bate l sedè per tèra! E te ci ‘l battemo noialtri!’…  Ce la voleva a morte con noi donne fasciste. Se gli si chiedeva qualcosa, rispondeva: ‘Pensateci voi altre, morte di fame; che andate a sbrinzellè, ‘n ve vergognate?’. Poi diceva: “Se il popolo ha bisogno, la Befana la facciamo noi cattolici”. Gli si rispondeva: ‘E alora, fètela!’ Ma non la facevano Noi si pensava che era contro il Fascio, perché voleva esse ossequiato da noialtri. Figuriamoci: comandare a noi!”
Che effetto fece in voi la fucilazione di Gabriotti?
“Mio marito lo conosceva bene. Il  piangere che ha fatto quando seppe della sua fucilazione. Tornò a casa che piangeva: ‘Pensa quel ch’è successo,  hanno ucciso Gabriotti…’”
Come ricorda i principali dirigenti fascisti di Città di Castello?
“Negli anni ’20, Furio Palazzeschi era un po’ autoritario. Fece guerra accanita ai bolscevichi. Era un duro. Ci piaceva come uomo e come dirigente. Dopo di lui, Mario Tellarini era uno tranquillo, voleva bene a tutti; lui  ha calmato le acque. Anche Fausto Desideri, durante la guerra, è stato tranquillo. Orazio Puletti, segretario del Fascio Repubblicano, era una persona di cultura, scaltro, con una fede viva nel  fascismo; era anche ambizioso, ma non settario, né sanguinario”.
Cosa ricorda del passaggio del fronte e dei tedeschi?
“I tedeschi si sistemarono anche a San Secondo. Qui, in casa mia, c’era il loro centralino telefonico. A casa dei miei genitori, lassù sopra la strada,  avevano lo stato maggiore. I tedeschi dicevano che prima di andar via avrebbero raso tutto  al suolo. Facevo fare pagnotte di pane e glie le davo per tenerli buoni. Ce la volevano con noi italiani, anche con  noi fascisti, perché ci consideravano tutti traditori. Nonostante che si era dirigenti del Partito Fascista Repubblicano, se la prendevano con noi perché non avevamo avuto la forza di reagire al tradimento. Quanto ai danni provocati dai tedeschi, meglio non ne parlare: qui non c’era più niente, nemmeno il mobilio. Tutto han portato via; oppure l’hanno bruciato”.
Lei ebbe noi dopo la guerra per la sua adesione al fascismo?
“Non ci fu vendetta da parte degli antifascisti,  per carità… Anche l’epurazione di mio marito, che lavorava al dazio, durò poco più di un mese. Anche perché i fascisti non erano stati violenti. All’inizio  sì,  perché c’era il bolscevismo, e il bolscevismo era ‘tristo’. Ma dopo no. All’arrivo degli alleati io feci due giorni di arresti domiciliari nella casa di Bogliari. Da  me volevano sapere quello che avevo fatto. Lì alla sede del Fascio vidi bruciare tutto, libri, gagliardetto, archivio. Furono gli inglesi a  bruciare. Salvai solo l’asta del gagliardetto”.
Il culto della personalità del Duce, sapientemente orchestrato dal regime, fece breccia tra voi donne?
“Noi donne fasciste eravamo tutte innamorate di Mussolini, ci affascinava. Si sentiva dire tra le nostre donne: ‘Ci andresti a letto con Mussolini?’ ‘E magari!’. Qualcun’altra, più sboccacciata, diceva al marito: ‘To fa come te père, ma io, se ‘l Duce me la chiede, gni la do; miga la vojo sciupè con te!’”
Eravate proprio accecate dal mito di Mussolini.
“Gli volevamo bene. Pensi alla Conciliazione fra Stato e Chiesa: fu una cosa meravigliosa. Non avesse fatto altro, Mussolini ha fatto quello…”
Però la dittatura, la guerra…
“Beh, sì. Purtroppo l’alleanza con Hitler, poi la guerra. Se non fosse stato per la guerra, Mussolini si era dimostrato un uomo saggio”.
Il mito di Mussolini non è appassito in Assunta Pierleoni nemmeno durante questi decenni di democrazia, nella quale ora crede con convinzione. Una volta m’ha sussurrato:
“Oggi alla bandiera rossa gli voglio bene; sono socialista e sono sempre dell’idea di Mussolini, che è stato il primo socialista d’Italia”.

Le testimonianze di Assunta Pierleoni sono state da me raccolte nel 1997, 1998, 2003 e 2004 (intervista parzialmente pubblicata in “L’altrapagina”, luglio 2004). Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.