Pietro Marinelli (1907-2001), iniziò a lavorare come tipografo nel 1919; dal 1922 fu nella tipografia “Leonardo da Vinci” di Città di Castello.
Gli estratti delle sue testimonianze risalgono al febbraio 1987 e al gennaio 1991.
Esploratori Cattolici e don Vincenzo Pieggi
[1991] Quando fu istituita l’istituzione degli Esploratori cattolici, Castello la prese subito a cuore. Il babbo dell’attuale sindaco Pannacci era una specie di istruttore: ci istruiva lungo la strada che portava dal seminario alla “scurtico”, fuori le mura. […] Si era classificati in Lupetti, Esploratori (dopo i 12 anni) e Juniores (dopo i 16 anni). Per scarpe indossavamo quelle che avevamo abitualmente.
Mons. Pieggi non era severo ma un amico per i giovani, più che amico. Se qualcuno dei suoi giovani stava male lui s’interessava anche del dottore, pagava lui. Era l’unico sacerdote che seguiva i Giovani Esploratori. Per attività facevamo la domenica delle passeggiate a Monte Cedrone, nella campagna vicina. Assomigliava per certi versi all’attività dei Boy Scouts, s’imparava come accendere i fuochi ecc. La domenica prima si celebrava la messa, poi via alla passeggiata portando la colazione: ritorno all’ora di pranzo. Durante la settimana non ci si incontrava, anche perché si lavorava. Andavamo alla libreria per leggere l’ordine del giorno. La libreria Sacro Cuore si trovava in via Cacciatori del Tevere, sotto la tipografia. Giuseppe Torrioli era direttore sia della tipografia che della libreria. C’era tanto entusiasmo. Quelle gite per noi rappresentavano tanto… poi c’erano le attività e gli incontri con altri gruppi di altre città, campeggi… Quando ci hanno sciolto ci siamo rimasti molto male (nel 1925 erano andati a Roma per l’anno Santo e poi a Bolsena).
Noi giovani ci rendevamo conto del perché ci volevano sciolti? Ogni giorno ci toglievano qualcosa… anche i più giovani dovevano diventare balilla.
Se capiva che non se podeva andè… però a n certo momento, n’ se leggéa la stampa, n c’era la possibilità de dialogo con nessuno, e alora s’era mpo’ intruppèti… ma se vedevano mpo’ male quelli che erono simpatizzanti pe’ ste istituzioni fasciste. Ma dopo l’8 settembre…
Cattolici, Azione Cattolica e fascismo
[1991] Di cattolici proprio schierati col fascismo, a parte Giovagnoli, non ne ricordo nessuno. I fatti del 1931 avevano creato un distacco difficilmente colmabile col fascismo. Solevamo fare ogni settimana un’adunanza. Ricordo che nascondemmo nelle nostre case le bandiere e i verbali delle nostre associazioni, finché non ci fu riconosciuto il diritto di esistere. Nelle riunioni dell’Azione Cattolica si redigeva il verbale, l’assistente ecclesiastico dava il pensierino religioso, e il presidente Torrioli aggiornava sul movimento dell’Azione cattolica. La sede era al n. 4 di via Cacciatori del Tevere, sotto c’era la tipografia. Anche gli Esploratori avevano occupato quella sede.
Se qualche cattolico aderì al fascismo lo fece per interesse, per questioni di carriera o di bisogno.
[…] I due sacerdoti con maggiore carisma per i giovani erano Pieggi e don Giuseppe Pierangeli. Vi erano altri bravi preti, ma non si erano buttati nelle attività giovanili come questi.
[…] La libreria del Sacro Cuore funse anche da punto di ritrovo informale dei cattolici. Si andava lì per sapere se c’era qualcosa di nuovo, soprattutto quando alcuni sacerdoti, come spesso Pieggi, andavano a Roma e potevano venire a conoscenza di cose non ufficiali. La libreria Paci prese subito un carattere più grande, più intellettuale.
San Giovanni in Campo
C’era un’epoca in cui non esisteva giovanotto che non fosse passato per le mani di don Vincenzo Pieggi. Quasi tutti i sacerdoti che venivano ordinati venivano per un po’ a dare una mano a San Giovanni. Ci aiutavano anche ad andare in bicicletta; per alcuni era una conquista. Erano preti bravi. Ci sono passati don Angelo Venturucci, don Ettore Mosci, don Riccardo Gennari, il segretario di Cipriani. Si facevano gite turistiche, alla Verna; cose rare.
Venanzio Gabriotti
[1987] Gabriotti era persona molto intelligente, brillante, intuitiva. Mi ha fatto da testimone al matrimonio. Anche se non era riservato ma molto socievole, sapeva tenere la bocca chiusa e parlare solo a chi gli interessava e quando voleva. Nonostante che fossimo amici non ho mai saputo dei suoi rapporti con i partigiani e non sono mai stato coinvolto nel lavoro di sostegno che si svolgeva in Curia. Tutto era molto riservato, i tempi richiedevano questo.
[1991] Noi giovani non lo avevamo mitizzato, lo si considerava una persona come noi si considerava mons. Pieggi. Ci si ritrovava spesso, si parlava, così si era amici. Anche le nostre famiglie erano amiche.
[1991] Tutte le cose che succedevano in città aveva il suo modo di criticarle. Ad esempio in sacrestia del Duomo, alla fine della messa, ci si incontrava per salutare il prete che aveva celebrato. Si finiva sempre con il commentare qualche fatto del giorno da un punto di vista politico e Gabriotti con il suo acume sapeva mettere in ridicolo i gerarchi e il regime. Era una critica puntigliosa di sicuro, lui era superiore quanto a cercare vendette, anche se un po’ di rabbia dentro l’avrà sentita. Sapeva criticare con spirito. Metteva in ridicolo tutte le inaugurazioni di opere del regime (bastava aprire un rubinetto che veniva il prefetto…) e le leggi fasciste, che lui sapeva interpretare per la sua competenza.
Non c’è stato un periodo in cui Gabriotti sia stato più tenero col fascismo.
[1991] Raccontava barzellette. Lui era tanto intelligente e le persone che allora dominavano erano ignoranti, presuntuose, non avevano quell’acume di intelligenza che lui aveva. Quando capitava lui li bollava: per forza… sapeva in che considerazione lo tenevano, perché avevano paura di Gabriotti, del suo prestigio.
[1991] Quando c’era una rappresentazione teatrale, noi ragazzini non si aveva i soldi per andarci, si prendeva poco e niente in fabbrica, allora si chiedeva a Gabriotti se ci pagava il teatro, e lui subito. Non so come avesse sempre i soldi in tasca. Bastava aspettarlo fuori dal vescovado. Mai che abbia detto: “Ma che volete, andate a letto…”
[1991] Non era un sognatore, ma una persona quadrata. Non aveva la testa tra le nuvole. Dicevano: “Meglio lui che gni manca ‘l cervello che voi capiscioni che n’ ve manca gnente”. Un tipo svelto, camminava sempre svelto. Era dappertutto: lo trovavi al cinema se c’era il cinema, al teatro se c’era il teatro. Onnipresente. Purtroppo poco prudente. Per niente disordinato, per quei tempi sempre ben vestito. Affettuosissimo con i nipoti, li lasciava anche giocare con le sue medaglie. Dal mio punto di vista Gabriotti era uno che lavorava col cervello, sapeva stroncare gli avversari con intelligenza.
Testimone di nozze
[1991] Invitavano spesso Gabriotti come testimone alle nozze perché era conosciuto, ci tenevano ad averlo testimone. Quando uno si sposa cerca sempre come testimone una persona un pochino più su, forse non per una questione di importanza, ma per il fatto che oggi o domani uno avesse avuto bisogno di qualcosa avrebbe potuto dirgli: “Oh guardi, se lei pole… se ricorda… è stato testimonio”. Era sia una questione di interesse che di simpatia. Io glielo chiesi anche perché era un amico di idee: frequentavo il vescovado e l’Azione Cattolica. Mi sposai il 10 settembre 1934. Lui faceva un discorsetto con gli auguri. Sapeva tutto perché era in confidenza con tutti, e se chiedeva gli dicevano. Questo è stato un grande vantaggio per Liviero.
Amico anche dei fascisti
[1987] Una volta mi ha salvato dal licenziamento. Io e un mio collega non avevamo rinnovato la tessera del PNF ed eravamo stati licenziati; ci rivolgemmo a lui, che fece presente la cosa a Liviero. Venne coinvolto subito il dirigente provinciale del sindacato e la cosa venne messa a posto. Era fatto così, con le mani in pasta dappertutto. Sapeva tutto e tutti si rivolgevano a lui, anche i fascisti.
Gabriotti e ambiente cattolico
1991] Se qualcuno nell’ambiente cattolico ce la voleva con Gabriotti, era per invidia. Torrioli lo stimava.
[1991] Gabriotti non partecipava molto alla vita delle associazioni cattoliche, ma lui era “al dentro” (un’eminenza grigia). In caso di manifestazioni però era sempre presente. Ma c’è da dire che qualsiasi cosa la città faceva, lui era sempre presente.
Rapporto con Liviero
[1987] Il suo rapporto con Liviero era strettissimo: ogni sera gli faceva il resoconto della giornata, così Liviero sapeva sempre tutto di tutti e prima di tutti, Gabriotti era un’eminenza grigia al suo fianco. Preziosissimo, non aveva alcun ruolo dirigente dentro alle organizzazioni cattoliche, ma contava tantissimo.
Altri ricordi di epoca fascista
Violenze e intimidazioni fasciste
[1991] I fascisti me facevano a uggia quando passèono pe l’osteria de la Rubeca, nella piazzola de via de la Matonèta, vicino a Borgo Farinario; guardèono, tirèono fora la gente e magari gni menèono. So solo contento che sti delinquenti han tutti fato nna finacia. Bastèa ch’erono sète o oto… il Patrizino era uno de questi.
Dopo il Cinema Iris c’era il Caffè Severi, uno dei mejo. Tirèono fora le persone e gni facéono bél’olio de ricino. Una vittima era Carleschi, un piccolo impresario antifascista. Oltre a Patrizino, il Pescaiolo (Ermete Gasperini), Niccolini, Borborino; chiamèono la gente giò e bastonète. M’è rimasto sempre impresso, gli urli…
Il Dopolavoro
[1991] Al Dopolavoro si andava volentieri. La tessera costava poco, c’era il bar, la sala lettura e si poteva prendere a prestito libri. Qualcuno ha anche imparato il francese al dopolavoro. La domenica un certo Borri, un bravo sportivo, seguiva le partite alla radio e le spiegava ai dopolavoristi, indicando gli spostamenti dei giocatori su di un campo di gioco disegnato sulla parete.
Si davano da fare. Naturalmente tiravano le fila i socialisti di ieri, ma non c’era altro da fare, quando non senti niente, quando non puoi parlare con le persone (già farsi vedere in tre destava sospetti), quando si conosceva la loro prepotenza… la gente si adattava per sopravvivere, n c’era gnente da fè.
Mons. Enrico Giovagnoli e il fascismo. Licenziamento e intervento di Gabriotti
[1991] Giovagnoli era diventato ubriaco di fascismo. Io lo rispettavo come sacerdote e come mio direttore alla Leonardo però, dico la verità, mi ha dato dispiaceri che non avrebbe dato a nessuno. Arrivò a licenziarmi. […] Ci licenziava perché non si aveva aderito ai sindacati fascisti. Era diventato un fanatico, andava al corteo, ciampelone, dietro a loro. Gabriotti si interessò alla nostra situazione, andò dal vescovo, il vescovo chiamò il capo dei sindacati, uno di Perugia, “Voi licenziate due ragazzi che sono capifamiglia, ma vi rendete conto”. E il sindacalista: “Ne avete fatto un affare di Stato…” La sospensione del licenziamento fu immediata.
Testimonianze raccolte da Alvaro Tacchini. Testo protetto da copyright; non riprodurre senza citare la fonte.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.