Per la difesa della Repubblica Romana si mobilitarono diversi patrioti di Città di Castello. Vari documenti provano che insieme al fabbro Francesco Milanesi si trovavano il barbiere Settimio Lensi, il tipografo Luigi Saia, il sarto Geremia Guerrieri e il vasaio Luigi Pasqui. Ma diversi altri tifernati combatterono per respingere gli attacchi francesi. Il cappellaio Florindo Antimi fu ferito al braccio destro; volle continuare a combattere e una seconda esplosione glielo mozzò. Rimase ferito al braccio pure il caporale Vincenzo Pettinari, che si vantò di aver militato “sotto gli ordini del Prode Garibaldi” al terzo bastione di Porta San Pancrazio.
Uno dei volontari acquisì durevole fama per il coraggio dimostrato: Crescenziano Fabrizi. Anch’egli artigiano, aveva allora 27 anni. Si trovò nel pieno della battaglia a Ponte Milvio, che i romani avevano minato ed erano disposti a far saltare pur di impedire il passaggio ai francesi. Costoro allestirono una zattera per trasportare armi sull’altra riva e sorprendere i romani. Quando se ne accorse, Fabrizi si tuffò nel Tevere con la sciabola stretta fra i denti. Quello che poi successe lo raccontò Francesco Domenico Guerrazzi, che involontariamente ribattezzò il tifernate Fulgenzio, nome che gli sarebbe rimasto per sempre: “[…] ecco un Fulgenzio Fabbrizi di Città di Castello si tuffa ignudo nel fiume e, stretta co’ denti la corda a cui stava ormeggiata la zatta, adoperandoci gli sforzi supremi, la tira seco; se lo fulminassero i Francesi, che se l’eran vista fare proprio sotto gli occhi, non è da dire; e crebbero la furia, quando cotesto animoso si trovò in mezzo alla corrente a contrastare coi vortici, che lo tiravano in fondo, e con la zattera, la quale, sbalzata a urtoni gli ammaccava la persona: tuttavolta così egli provò amica la fortuna, ché pesto, ma incolume di ferite, poté attingere l’altra sponda!”.
I francesi in seguito avrebbero conquistato il ponte, ma l’atto di valore valse comunque a Fabrizi una medaglia d’argento. Lo celebrò pure Gabriele d’Annunzio in “Notte di Caprera”:
“[…] e Fulgenzio Fabrizi umbro ammirando al Ponte Milvio”.
Fabrizi rimase poi a Roma, lavorando come commerciante e quindi bidello in una scuola; abitava in via Margutta Dopo l’Unificazione italiana tornò sporadicamente a Città di Castello. Lo conobbe lo scultore Elmo Palazzi, che modellò il busto dal quale fu tratto il monumento dedicato all’eroe nel 1937 lungo i giardini di viale Vittorio Veneto.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).