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Radicali e socialisti al potere

 

Città di Castello aveva come sindaco dal 1910 Adolfo Maioli; guidava una giunta di radicali, partito al quale apparteneva, e socialisti. Ne facevano parte gli assessori Ulrico Biondi (istruzione), Ettore Cecchini (sanità e servizi pubblici), Emilio Pierangeli (lavoro, case popolari, emigrazione), Domenico Mancini (stato civile), Giuseppe De Rosi (personale municipale) e Vincenzo Gualterotti (lavori pubblici), che però si era appena dimesso.
Il sindaco Maioli aveva fama di “uomo probo e cittadino esemplare”, di “provetto amministratore onesto e correttissimo fino allo scrupolo”. Di mestiere faceva l’amministratore di aziende private. Si diceva che gli stessi suoi avversari politici ne richiedessero l’opera per la fama che aveva di uomo retto e competente. Schivo e riservato, riluttante agli onori, si faceva raramente fotografare e il giornale che lo sosteneva, “Corriere Tiberino”, dovette ricorrere a un sotterfugio per entrare in possesso di una sua immagine, scusandosi con lui per averla pubblicata.
Nella giunta municipale sedevano anche i socialisti, che però davano segni di nervosismo, dal momento che i radicali appoggiavano decisamente la guerra scatenata dall’Italia in Libia. Proprio il 4 febbraio di quell’anno il marchese Ugo Patrizi tenne un’affollata conferenza su un suo viaggio in Tripolitania; proiettò anche delle immagini, realizzate insieme al figlio Gino. Poi ci fu un gran banchetto sotto le logge di Palazzo Bufalini. Il loggiato, da pochi anni coperto o vetri, fungeva da mercato del grano ed era il luogo prescelto dalle associazioni tifernati per feste carnevalesche, lotterie e manifestazioni pubbliche in caso di maltempo.
A fine anno si deteriorarono i rapporti tra gli alleati di giunta. I socialisti, arroccati su posizioni rivoluzionarie, ribadirono la propria contrarietà ad ogni “agglomerazione né politica né apolitica, che a suo Dio elevi Patrizi e a suo vangelo il patrizismo” e cominciarono a prendere le distanze dall’amministrazione comunale.
I socialisti intanto continuavano a polemizzare con i monarchici-liberali e con uno dei loro uomini di punta, il presidente e direttore della Cassa di Risparmio Giuseppe Corsi. Mentre procedeva la costruzione della sede dell’istituto in “piazza di sopra”, “La Rivendicazione” stigmatizzò che il palazzo fosse eretto, "con i denari che dovevano andare a sollievo delle pubbliche miserie". Per costruire la sede, infatti, la Cassa era stata costretta a ridimensionare i contributi in beneficenza.