Il fascismo tifernate cercò di caratterizzare in senso più patriottico la Società dei Tipografi, fondata precedentemente all’instaurazione del regime e animata da un forte spirito di autonomia. Non sfuggiva certo, a livello locale, l’importanza di esercitare una egemonia sul settore numericamente e politicamente più importante dei lavoratori. A livello nazionale, poi, lo stesso Mussolini aveva saputo adulare i tipografi con il suo famoso discorso alle maestranze dello Stabilimento Poligrafico dello Stato nel 1925: «Io considero i tipografi come facenti parte dell’aristocrazia del lavoro. Durante venti anni di giornalismo ho sempre considerato i tipografi non come dei compagni ma come dei fratelli».
Ambizione dei fascisti era quella di costituire un Dopolavoro Aziendale Tipografico, inquadrato nelle forze attive del regime. Iniziarono, così, una pressione, affinché l’«aristocrazia del lavoro» tifernate uscisse dalle «meschine strettoie della Società dei Tipografi», ponendosi degli scopi più elevati: «[…] il divertimento e lo svago ci devono essere, specialmente quanto essi possono contribuire alla elevazione della cultura, come viaggi d’istruzione, o alla salute fisica, come giochi sportivi e gite; ma in prima linea la nostra società deve mirare ad elevare la classe ad una sempre maggiore comprensione della sua arte e a farla conoscere ed apprezzare». Con la costituzione del Dopolavoro Aziendale, dicevano i promotori, «potremmo avere una filodrammatica nostra, un concertino nostro, un jazz, un gruppo corale, che ad intervalli potrebbero allietare noi e le nostre famiglie e supplire così alla mancanza, resasi ormai quasi totale, di pubblici spettacoli».
La partecipazione dei tipografi alle attività ricreative e culturali della città era già molto attiva, con un ruolo trainante soprattutto nella Filodrammatica, nella Filarmonica e nel canto corale. In campo teatrale, la Filodrammatica tifernate visse momenti di intensa attività fra le due guerre e raccolse nell’ambiente tipografico molti elementi che, per varietà di interessi, passione per la cultura e desiderio di contribuire alla vita sociale, emergevano a livello cittadino.
Il Dopolavoro Aziendale tipografico, venne ufficialmente costituito il 2 dicembre 1935; l’iscrizione era obbligatoria per tutti gli uomini appartenenti alle aziende tipografiche e veniva fatta d’ufficio dalle singole tipografie. Le dipendenti delle aziende non potevano associarsi, ma erano comunque invitate a collaborare nelle varie manifestazioni che avevano luogo durante il tempo libero e il «sabato fascista».
Nel giugno del 1938, in occasione del 400° anniversario della stampa del primo libro a Città di Castello, il Dopolavoro Comunale e il Dopolavoro Interaziendale Poligrafico promossero la «Settimana Poligrafica Tifernate». Questo settore industriale, con i 350 operai cui dava lavoro e le circa 1.350.000 lire in salari annui che distribuiva, sembrava aver ormai raggiunto la sua piena maturità. Nell’ambito della «Settimana Poligrafica» fu allestita, a cura di Gustavo Bioli, una «Rassegna del Libro Tifernate». Mentre 1’«Esposizione del Libro» del 1916 aveva avuto per lo più il carattere di dimostrazione delle capacità produttive delle industrie tifernati, la «Rassegna» per la prima volta ricostruiva l’evoluzione storica delle varie tipografie, mettendo in mostra il materiale più significativo stampato nel corso della loro attività. La «Rassegna» fu anche l’occasione per un raduno di tutti i poligrafici umbri e della vicina Toscana e segnò per l’industria tipografica di Città di Castello una forte presa di coscienza delle proprie radici storiche. Città di Castello si proponeva, quindi, come una piazza tipografica intenzionata a raccogliere il meglio delle proprie tradizioni, per coniugare armonicamente le capacità produttive e le aspirazioni culturali del settore.