Nelle elezioni politiche del 1913 ebbe come avversari il socialista Francesco Bonavita e, come candidato del “partito dell’ordine”, Raffaello Ricci. Vigeva ancora il non-expedit e solo l’Unione Elettorale Cattolica poteva sospenderlo localmente, indicando il candidato sul quale far convergere i consensi. Il comunicato ufficiale dell’Unione Elettorale fu reso noto in agosto: “Nel collegio di Città di Castello i cattolici siano licenziati ad accedere alle urne a favore del candidato avv. Raffaello Ricci e questo in modo esclusivo; restando cioè vietato ai cattolici stessi il presentarsi a votare od anche il favorire comunque sia qualunque altro candidato”.
Fu una campagna elettorale lunga e dai toni fortemente accesi. Patrizi, Ricci e Bonavita solevano spostarsi in macchina da un paese all’altro seguiti da gruppi di fedelissimi. Durante i comizi, i sostenitori festanti urlavano, applaudivano o sibilavano, obbedendo all’abile regia dei capipopolo.
Il 23 ottobre 1913 “Corriere Tiberino” presentò lo “stato di servizio” di Patrizi. Presiedeva i seguenti enti e associazioni di rilievo nazionale: Federazione Nazionale delle Mutue per gli Incendi, Federazione Nazionale delle Cooperative per la Produzione e l’Esportazione di Tabacco, Federazione Nazionale dei Capi Verificatori dei Tabacchi, Federazione Nazionale fra i Sorveglianti Forestali, “Pro Montibus” di Roma, Associazione Nazionale degli Esportatori, la direzione del Comitato Agrario Nazionale. Localmente presiedeva il Pellagrosario Umbro con la Sezione Dementi, la Sezione Magistrale mandamentale e l’Associazione fra gli Allevatori Umbri. Era inoltre presidente onorario della Federazione Nazionale dei Maniscalchi e dell’Associazione fra coltivatori e operai del Magazzino Tabacchi di San Giustino.
Il turno iniziale di votazioni, per la prima volta a suffragio universale maschile, si svolse il 26 ottobre. Nessuno dei tre candidati ottenne la maggioranza assoluta. Patrizi raccolse nell’intero collegio 4.256 voti, Ricci 3.964 e Bonavita 2.608.
Il 2 novembre, nel ballottaggio, Patrizi riuscì a sopravanzare Ricci di poche centinaia di voti, capovolgendo gli insoddisfacenti risultati di Città di Castello con la larga messe di consensi raccolta negli altri centri del collegio.
Le polemiche della campagna si lasciarono dietro amari strascichi e il clima politico a Città di Castello e nella valle divenne irrespirabile. All’insanabile frattura tra lo schieramento laico e anticlericale e quello moderato sostenuto dai cattolici, si aggiunse la rottura dell’alleanza tra radicali e socialisti. “La Rivendicazione” accusò Patrizi di operare una svolta conservatrice, di coltivare ambizioni ministeriali e di assumere talora atteggiamenti sfuggenti.